Lo scrittore e docente palermitano ha appena pubblicato il suo ultimo volume “Ogni storia è una storia d’amore“, in cui racconta 36 vicende di donne legate ad artisti celebri. «L’amore salva? Sì se si guarda l’altro come un tramite per conoscersi nel profondo come coppia»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]I[/dropcap]l fatto che in Italia essere uno scrittore per ragazzi sia percepito come qualcosa di negativo la dice lunga sul Paese in cui viviamo. Da parte mia, non solo ne sono fiero, ma mi ritengo fortunato, perché frequentare i miei studenti ogni giorno a scuola costringe all’autenticità delle domande fondamentali, come quella che anima questo nuovo libro: l’amore salva?» Quando parla del suo lavoro da scrittore, Alessandro D’Avenia, non può in nessun modo considerarlo avulso dalla sua attività da insegnante. Il suo ultimo lavoro, “Ogni storia è una storia d’amore”, che racconta 36 vicende di “muse” di grandi artisti (da Alma Hitchcock a Edith Tolkien, passando per Fanny Tongioni Tozzetti), in questo senso non fa eccezione. «Il confronto con i giovani mi ha fatto rendere conto che il grado di educazione sentimentale e affettiva nella società è insufficiente. Da un lato c’è un amore che tende a idolatrare l’essere amato e che ha il difetto di non farne vedere i limiti, dall’altro l’amore cinico per il quale, dando per scontati i limiti del partner, ci si serve di lui finché dura, salvo poi rimpiazzarlo. In entrambi i casi si tratta d’inganni del fenomeno amoroso».

L’AMORE OGGI. Il volume utilizza l’archetipo narrativo del mito di Orfeo ed Euridice per fare da trait d’union a delle storie che offrono un’idea di amore non sempre romantico, ma radicato nel vedere l’altro come un tramite per per conoscersi nel profondo come coppia. «Oggi – continua D’Avenia – basta guardare un telegiornale per rendersi conto di quanto questo concetto sia difficile da far passare. Spesso le relazioni sono concepite come un accaparrarsi qualcosa a scapito della vita altrui, si pensa al partner come un oggetto d’amore totalmente disponibile e nel momento in cui questo sfugge distruggerlo consente di averlo per sempre. La mia palestra quotidiana sono le lezioni a scuola. Se al momento dell’appello non cambio prospettiva e non mi metto al servizio dei miei alunni, inevitabilmente li vedrò come delle persone da addestrare e non come soggetti di un inedito stare al mondo». Proprio questo pensiero caratterizza l’approccio didattico di Alessandro D’Avenia: «Credo che la scuola dovrebbe essere una fucina di vocazioni, una dimora della meraviglia in cui ciascuno dei ragazzi, invece di odiare le cose che insegniamo, attraverso quelle stesse cose possa cominciare a prendere contatto col mondo per trovare la sua strada».

CAMBIARE LA SCUOLA. Come si pone il contesto scolastico attuale rispetto a questa sfida? A fronte di un dibattito abbastanza vivo sul tema delle cosiddette “soft skills”, secondo D’Avenia dal punto di vista pratico in Italia c’è ancora molto lavoro da fare. «Al momento – spiega ancora – sono solo chiacchiere. Una cosa che dovrebbe rispondere a questo tema è l’alternanza scuola lavoro, che però è stata imposta a tutte le scuole senza preoccuparsi di dare gli strumenti per poterla realizzare. Il risultato è che, fatta eccezione per alcuni istituti già virtuosi, spesso questa viene trasformata in attività ludiche». Il problema andrebbe allora risolto alla radice. «Mandare i ragazzi in un contesto lavorativo può anche avere in alcuni casi effetti positivi, ma non sarà sufficiente a fargli capire chi vorranno diventare nella vita». A guidarli in questo dovrebbero essere allora i docenti durante le attività ordinarie. Ma come si fa a prepararli? «Fino a oggi ci si è preoccupati solamente delle conoscenze da trasmettere. Tutta la didattica è basata sulla correzione di ciò che gli alunni sbagliano, non si fa un lavoro in positivo su ciò che gli alunni fanno bene, che li rende consapevoli della propria unicità».

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