Presente in diverse aree del centro e del sud Italia, questo verbo possiede accezioni e origini a sé stanti, derivate dal mondo delle campagne e persino dalle azioni dei fumatori incalliti. Un labirinto di concetti nel quale l’unico filo di Arianna in grado di sbrogliare questo intricatissimo bandolo è un ascolto attento del discorso del proprio interlocutore

Che il siciliano sia un dialetto molto ricco dal punto di vista lessicale è un dato di fatto universalmente riconosciuto. Che includa termini dalla polisemia ai limiti dell’impensabile è forse meno semplice da credere, invece. Eppure, basterebbe menzionare una sola parola specifica per convincere chiunque della veridicità di questa affermazione, e per affascinare anche i più scettici.

Si tratta del verbo appizzare, presente in altre aree del centro e del sud Italia con accezioni e origini a sé stanti. Nella Trinacria, il termine ha innanzitutto un primo significato parzialmente in comune con altre aree geografiche: appizzari ‘a ‘ricchi, infatti, è sinonimo di prestare bene ascolto, mettere in funzione le orecchie. Ma non finisce qui.

Appizzari è anche associato alle azioni più comuni svolte dai fumatori incalliti, per esempio, dal momento che significa accendere. E, se fare molta attenzione deriva probabilmente dal mondo delle campagne, in cui chi faceva la guardia doveva stare immobile e diritto, con le orecchie tese a qualsiasi rumore (appizzare, appunto, all’epoca), dare fuoco ha un’etimologia diversa e di origine latina. Ad picea, non a caso, voleva dire avvicinare alla pece e, di conseguenza, proprio accendere.

Da qui deriverebbero pure il significato di avvicinarsi a un luogo velocemente e senza preavviso (dacché ci si approssimava alle fiamme) e perfino quello di cominciare. Illuminare qualcosa, infatti, è una maniera di renderlo visibile, di dare luce e vita a quanto prima non ne aveva, innescando un processo di “iniziazione” e di cominciamento.
Più incerta la derivazione dell’accezione rovinare, che ad ogni modo è ragionevole supporre derivata dalla medesima espressione latina già menzionata, poiché avrebbe una sua logica ritenere che un oggetto in prossimità della pece rischi di perdere la propria forma e consistenza originaria.

Un sesto uso del termine, di certo non ultimo per importanza, è quello inteso come sinonimo di appendere. Sempre in latino, esisteva anche il sintagma ad petia, ossia aggiungere pezzo a pezzo. Attaccare un oggetto a una superficie, quindi, potrebbe essere un’altra maniera per indicare proprio la sovrapposizione e l’unione di due elementi a distanza ravvicinata.

Un labirinto di concetti, insomma, nel quale cui l’unico filo di Arianna in grado di sbrogliare questo intricatissimo bandolo è un ascolto attento del discorso del proprio interlocutore e un discernimento critico del contesto situazionale in cui sta avvenendo la comunicazione fra voi e un qualsiasi siciliano. Con un po’ di fortuna e di senso logico riuscirete a destreggiarvi con la polisemia, perciò non demordete e fate in modo di non appizzare la vostra occasione!

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