Quando non si riesce ad avere pace, gli abitanti dell’isola più grande del Mediterraneo sanno bene quale parola usare. Quel che forse ignorano è che il termine fu fissato nella sua forma attuale da uno dei massimi autori medievali, alla ricerca di sollievo per le sue pulsioni amorose

Per te non aio abento notte e dia, scriveva nel 1200 il celebre esponente della scuola siciliana Cielo D’Alcamo in uno dei suoi versi, intendendo dire che, a causa dei suoi sentimenti nei confronti di una giovane fanciulla, non era più in grado di trovare un po’ di sollievo né di notte né di giorno. Il termine che utilizzò il poeta ben otto secoli fa in Sicilia esiste ancora nella forma abbèntu e ha una storia etimologica e semantica molto particolare.

Con molte probabilità, infatti, il sostantivo deriverebbe dal verbo latino adventare, in origine letteralmente giungere in un qualche posto fisico. Nel meridione italiano, però, in seguito si evolse con il significato di riposare, ovvero di smettere di avere inquietudini, di arrivare metaforicamente in un luogo di quiete interiore. Non è un caso, quindi, che oggi nun avìri abbèntu sia ancora sinonimo di non riuscire a darsi pace per una qualche ragione.

Ma non è tutto: anche di una persona che economicamente non ha garanzie di stabilità si può dire che non abbia abbèntu, proprio perché deve darsi da fare senza tregua per procurarsi i soldi di cui ha bisogno per vivere. Per di più, sull’isola si finisce spesso per aviri u mal’abbèntu, se si è ancora bambini e non si è in grado di stare fermi un attimo – in altre parole, anche in questo caso, di rasserenarsi.

Naturalmente, per quanto ai nostri giorni sembri più raro, c’è anche chi ha la fortuna di potersi concedere un attimo di relax dai pensieri della vita quotidiana, o ci sono bambini in cui finalmente sembra ridimensionarsi l’argento vivo che li anima, magari quando arriva la sera, oppure dopo un sonnellino ristoratore. In tal caso, in dialetto si dirà che questi soggetti possono stari abbèntu o abbintàri, e di conseguenza tranquillizzare anche chi li circonda.

Una parola dalle diverse sfaccettature, insomma, il cui uso è attestato addirittura nelle nobili pagine della letteratura e che continua ad accompagnare i siciliani nel 2018.

(Si ringrazia per la collaborazione Alessia Lo Bue)

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