Occhi verdi, tacchi e foulard, così la Pixar ha personalizzato questo sentimento in Inside Out del 2015, ma la filosofa statunitense Marta Nussbaum aveva già acceso i riflettori sul tema: dove ci porta il disgusto?

Osaka: un ragazzo gay viene spinto giù dalle scale di una scuola. Krasnojarsk: una signora si schifa vedendo bere due persone dalla stessa bottiglia. Kaposvár: a una famiglia straniera viene impedito di prendere casa in un condominio. Seattle: anziano muore in casa e nessuno se ne accorge per mesi. Catania: una ragazza viene emarginata dalle compagne perché del quartiere Fortino. Laerte: Diogene Laerzio viene deriso perché defeca in pubblico. Cosa hanno in comune queste storie? Un volto, un’emozione: il disgusto. Occhi verdi, tacchi e foulard, così la descrivono Disney e Pixar nel lungometraggio animato Inside Out (2015). Più di dieci anni prima dell’uscita nelle sale, una filosofa aveva acceso i riflettori su questa emozione troppo spesso sottovalutata: è Marta Nussbaum, la statunitense che ha scandagliato l’universo delle emozioni.

«Che schifo» è un’emozione, proprio come «ti amo». Entrambe, in quanto emozioni, tracciano la mappa in cui ci muoviamo. Che veniamo al mondo nudi non è vero: nasciamo con una bussola in mano che ci permette di orientarci nel caos, fra desideri, sogni e bisogni. Questa bussola sono le emozioni: «Il dolore fisico non è nulla rispetto alla spaventosa consapevolezza dell’essere impotenti» e «senza l’intelligenza delle emozioni, abbiamo poche speranze di affrontare questo problema nel modo giusto». Le emozioni hanno una «complessa struttura cognitiva» che dice molto su chi siamo e dove stiamo andando: un cane che è stato picchiato è diffidente alla mano che si avvicina per nutrirlo; dice molto sulla cultura a cui apparteniamo: gli ifaluk esprimono il lutto in modo del tutto diverso dai balinesi. Ma le emozioni, oltre regionalismi, rivelano verità viscerali. Cosa ci dice il disgusto?

Innanzitutto ci orienta verso la sopravvivenza. In Inside Out il personaggio ha cura che Riley non venga avvelenata fisicamente: un broccolo può essere velenoso, meglio evitarlo. Lo leggiamo in L’intelligenza delle emozioni, in cui la filosofa spiega l’insorgere di questa emozione nei bambini con l’uso del gabinetto. Ma la piccola snob verde si occupa anche che Riley non venga avvelenata socialmente, in breve, emarginata. «Il disgusto riguarda i confini del corpo» quelli, cioè, «tra noi e gli animali non-umani, o la nostra animalità». Qualcosa diventa disgustosa quando è considerata estranea: «I prodotti del nostro corpo non sono considerati disgustosi fino a quando sono all’interno di esso, ma lo diventano quando lo lasciano. La maggior parte della gente è disgustata dall’idea di bere da un bicchiere nel quale essa stessa ha sputato». Più precisamente, «disgustosi sono quei prodotti che mettiamo in relazione con la nostra vulnerabilità al decadimento, con il nostro divenire noi stessi dei prodotti di scarto»: l’emozione del disgusto manifesta il nostro rifiuto di essere animali, mortali e impotenti. Perché un tempo il lavoro che sporcava la fronte come quella di un mulo non nobilitava l’uomo? Perché nei campi di concentramento ai reclusi veniva impedito di lavarsi? È più facile odiare e trattare male chi è reso simile alle bestie. Così si disprezzano i deboli e si rende debole chi conviene che si disprezzi. «Gli esseri umani sembrano essere gli unici esseri mortali finiti che desiderano trascendere la propria finitezza. Essi sono così gli unici esseri emotivi che vogliono essere non-emotivi». Gli unici che si vergognano della propria vulnerabilità, della condizione del bisogno «e che sono orgogliosi di sé nella misura in cui si sono presumibilmente liberati dalla vulnerabilità». Paradossalmente, gli animali non fuggono i loro limiti: «Lupa (un cane esempio, ndr) non si era mai formata il concetto che una vita buona o bella o degna implicasse l’eliminazione dell’amore», per cui «non aveva mai insegnato a se stessa che è vergognoso essere una creatura con un corpo, o avere bisogno di cibo o acqua, o provare dolore o desiderio». Che strani che siamo: disprezziamo uomini e donne che ci ricordano di essere animali mentre c’è chi ama gli animali e la natura ed è tanto sensibile, e sogna un mondo senza gli umani.

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