L’artista siciliano, celebre per le “cancellature” divenute l’emblema del deperirsi della parola che nulla può in confronto alle immagini, ha ottenuto il divieto di vendita del disco del fondatore dei Pink Floyd. «Se il giudice mi dovesse destinare una somma di risarcimento per il mio diritto d’autore violato, potrei destinarla a dei giovani artisti e musicisti»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]L[/dropcap]’arte vive di deviazioni e di scambi, di mascherature e di smascheramenti, di avvistamenti e di svisature linguistiche. Vive dove non è e dove è non vive». Non conoscendo l’autore di questa frase, la si potrebbe facilmente attribuire a Pirandello o Sciascia, alle loro contraddizioni e ai loro mascheramenti, alla loro “sicilitudine”. Ebbene non si compirebbe un grave errore, perché quelle grandi contraddizioni sono certamente presenti nell’atto di ricerca del fluire vivo dell’arte dove non è, come fa Emilio Isgrò. Un artista a tutto tondo, recentemente al centro della cronaca per una vicenda di plagio legata alla copertina del nuovo disco di Roger Waters, noto in tutto il mondo per la sua capacità di reinventare l’arte per reinventare la realtà.

IL DEMIURGO DELLE CANCELLATURE. Il suo esordio è legato all’invenzione della tecnica della cancellatura. Un’idea, questa, che nasce nel 1962 da una lunga riflessione sulla comunicazione umana, per liberarla dagli eccessi e dagli sprechi, dai riempitivi di una società che soffre l’horror vacui. Nascono così le prime cancellature del 1964 su enciclopedie e libri, che contribuiranno al sorgere dell’arte concettuale e della poesia visiva «non per abolire la parola ma per renderla ancora più preziosa» come ha recentemente dichiarato al quotidiano La Repubblica. Un obiettivo, quello di restituire valore alla parola, perseguito già da altri scrittori siciliani, come Consolo, sebbene perseguendo strade differenti. L’esordio di Isgrò, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, è non a caso legato alla pubblicazione di una raccolta poetica, Fiere del Sud, del 1956 in cui racconta in versi la storia di un ragazzino del meridione, con un tono dissacrante nei confronti del meridionalismo imperante in quegli anni. In quello stesso anno l’artista si è trasferito a Milano, compiendo un percorso di allontanamento da quel “non luogo” di nascita, dall’isolamento isolano, che lo lega ancora una volta ai grandi scrittori siciliani. Ma la terra d’origine resta nel cuore e negli occhi di Isgrò, occhi che Quasimodo definì spiritati, ovvero «inebriati dallo spirito delle arance», come chiarisce lo stesso artista in un’intervista. Proprio con un seme d’arancia gigante in tufo ha deciso di omaggiare la sua città natale nel 1998, quale simbolo di rinascita sociale e civile per i paesi del Mediterraneo. Le storie letterarie paragonano spesso lo scrittore ad un demiurgo, capace di inventare e reinventare i personaggi e lo scenario nel quale essi si muovono. La creazione a volte implica però distruzione, un diluvio universale purificante, un battesimo che cancelli il peccato originale. Le cancellature di Emilio Isgrò sono certamente a questo proposito vivida dimostrazione dell’ego artistico e del desiderio di far tabula rasa per riscrivere la storia del mondo, per tentare una nuova identità.

UNA QUESTIONE D’IDENTITÁ. «Contradisse e si contradisse» sicché dal pascaliano Dichiaro di non essere Emilio Isgrò del 1971 (un’istallazione composta da sette fogli di carta serigrafata riportanti le affermazioni dello stesso Isgrò e dei componenti della sua famiglia che ne negano l’identità, oggi parte della permanente collezione della Galleria degli Uffizi di Firenze) è passato nel 2008 alla grande tela Dichiaro di essere Emilio Isgrò, affermando: «Perdere la propria identità è tanto difficile quanto ritrovarla». Se l’identità va perduta bisogna rifare i luoghi, i confini e i nomi delle cose note che l’hanno costruita, da qui l’idea della china su carta geografica per cancellare i toponimi e confini «per riportare il mondo allo stato di natura, prima che cominciasse la cultura». Di Isgrò ha scritto Achille Bonito Oliva: «Dal romanticismo al simbolismo, dal Futurismo al Dadaismo, lo sforzo dell’artista e del poeta è stato costantemente quello di rappresentare l’indicibile, quella complessità sempre più nascosta è silenziosa che abita l’esistenza e in qualche modo la configura. L’arte di Isgrò risponde attraverso la complessità della tecnica e lo sconfinamento interdisciplinare, capaci di restituire quella totalità che l’univocità di un singolo linguaggio difficilmente può dare».

IL “CASO ROGER WATERS”. Lo scorso 16 giugno 2017 il giudice Silvia Giani della sezione specializzata del Tribunale di Milano aveva bloccato la vendita del nuovo disco di Roger Waters, Is this the life we really want?, per ipotesi di plagio ai danni dell’artista siciliano Emilio Isgrò, alle cui cancellature la copertina del disco si rifarebbe. L’ipotesi negli scorsi giorni è stata confermata dal medesimo giudice, nonostante non tutti nel mondo dell’arte, siano concordi nell’individuarvi un caso di plagio. Contrario alla decisione si è infatti rivelato Vittorio Sgarbi che ha dichiarato che «Waters potrebbe non essersene accorto perché la posizione delle parole nei due manufatti è diversa e il gioco di una frase per sottrazione potrebbe farlo chiunque», avanzando poi l’ipotesi che Isgrò stia approfittando della situazione per riflettere la popolarità di Waters su sé stesso. Nell’intervista rilasciata a Repubblica l’artista ha chiarito la sua posizione dichiarando: «Quanto a Roger Waters sono soddisfatto del provvedimento preso dal giudice perché stabilisce il principio che nessuna opera di un artista può essere usata senza il suo consenso, specialmente quando i fini sono commerciali e a me preme per me ma anche per gli altri artisti. Se il giudice mi dovesse destinare una somma di risarcimento per il mio diritto d’autore violato, io potrei destinarla a dei giovani artisti e musicisti che non possono sperimentare nuovi linguaggi e crescere perché spesso sono oppressi proprio dal commercio e da un apparato mediatico che crea anche molte storture».

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