Emigrazione, questione giovanile e populismi, alcuni dei temi affrontati dalla rappresentante degli assistenti al Parlamento Europeo durante la videoconferenza con la redazione del Sicilian Post

Che si tratti di giovani costretti ad emigrare in preda allo sconforto e poco sensibili al senso di cittadinanza europea o di politici un po’ troppo scettici, quando si parla di Europa, non di rado, a farla da padrone è un sentimento di sfiducia nelle sue potenzialità. Ma quanto incide su questo la poca conoscenza che abbiamo sul suo funzionamento? Alla domanda su cosa significhi essere un cittadino europeo proposta ai giovani siciliani della “Generazione 18“, ha dato risposta solo un terzo degli intervistati. Eppure, il 40% del nostro campione vede in un paese estero compreso nei confini europei il proprio futuro. Ne abbiamo parlato (in videoconferenza) con Carmen Scirè, 34enne siracusana dal 2009 assistente dell’europarlamentare Giovanni La Via e  attualmente rappresentante di tutti gli assistenti al Parlamento Europeo di Bruxelles, in occasione di un forum organizzato dalla redazione del “Sicilian Post” presso la “sala digitale” del quotidiano “La Sicilia”.

SENTIRSI A CASA. «Quando si parla di Europa spesso le nuove generazioni danno per scontato un patrimonio di cui avere contezza: ad esempio il fatto che da quando esiste l’Unione il nostro continente non ha più vissuto delle guerre tra i paesi degli stati membri». Risponde così Carmen Sciré commentando i dati della nostra indagine, che vede gli intervistati dividersi tra quelli che si sentono parte di un grande progetto politico e coloro che, al contrario, temono un indebolimento della sovranità degli stati. «In un mondo globalizzato – continua la giovane assistente – è impensabile che una nazione europea, da sola, possa tenere il passo di colossi come USA o Cina. Nonostante la coesistenza non sia sempre facile, in virtù delle differenze che sussistono tra i vari paesi, solo come Europa possiamo far sentire la nostra voce». Scopi condivisi per una crescita comune, si direbbe. Ma spostandoci dal panorama internazionale a quello più locale, in che modo l’Europa si è prodigata per appianare certi dislivelli ancora esistenti?

OPPORTUNITÀ SPRECATE? Numerose sono state le iniziative impugnate a livello europeo per combattere le conseguenze della recessione economica: una su tutte ha guardato con attenzione alla disoccupazione giovanile. «Nell’ambito della Youth Employment Initiative – illustra la Scirè – buona parte dei fondi europei sono stati destinati a Garanzia Giovani, i cui risultati in termini di assunzioni (a tempo intedeterminato e non) hanno dato un trend molto positivo in alcuni paesi, come quelli dell’Est Europa». Non in Sicilia, però, dove le assunzioni, terminato il periodo di copertura dei sussidi europei, sono state esigue. Un dato preoccupante soprattuto se consideriamo che l’isola «è uno dei territori che percepisce più fondi». Un elemento di riflessione che, sicuramente, meriterebbe ulteriori approfondimenti. Ma le opportunità offerte dall’Europa non si esauriscono qui: senza considerare un’iniziativa già nota come “Erasmus +”, un’attività degna di rilievo potrebbe essere intraprendere un’esperienza nel Corpo europeo di solidarietà, aperto ai giovani tra i 18 e i 24 anni. «Si tratta – spiega ancora Sciré – di un modo retribuito per lavorare a contatto con diverse ONG e conoscere, per mezzo del volontariato, nuovi paesi».

L’IMPATTO DEI POPULISMI Eppure, c’è chi, tra un comizio e una comparsata televisiva, si ostina a dare addosso alle istituzioni europee. «A mio modo di vedere – puntualizza Carmen – si tratta di un modo di fare politica sbagliato. Le critiche, quando costruttive, sono ben accette. Ma quando queste sono tese ad ottenere consenso, allora si approfitta di quelle fasce sociali in difficoltà che, giustamente, manifestano i loro disagi. Chi parla a queste persone, spesso, manca di un vero progetto politico». Se quasi la metà di coloro che, nel report Generazione 18, hanno spiegato la loro sensazione sull’essere cittadini europei hanno fornito risposte negative verso l’Europa, è, perciò, inevitabile domandarsi quanto questo dato dipenda da un certo clima politico.

«Far avvicinare i giovani a un’idea europeista è soprattutto una questione di comunicazione. Gli eurocrati sono spesso percepiti come lontani dalle realtà periferiche, ma ciò non è affatto vero»

UN PROBLEMA DI COMUNICAZIONE Cosa fare per avvicinare questa fetta di scontenti ad un’idea europeista? «L’errore, molte volte, risiede nella comunicazione – conclude la Scirè – Gli eurocrati sono spesso percepiti come lontani dalle realtà periferiche, ma ciò non è affatto vero. Tutti i procedimenti legislativi europei hanno un’impronta data da chi ha un rapporto radicato col territorio». Se, infine, anche lei confessa di aver avuto, prima di iniziare la sua professione «una conoscenza limitata del mondo europeo, pur essendo già da giovanissima pro Europa» la chiave sta, allora, nel discernere i messaggi farciti di alibi che riceviamo, che rivelano «quell’atteggiamento per lo più italiano delle classi dirigenti». E, nel nostro caso, anche un po’ siciliano.

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