«Come può un Ministro inserire in un unico calderone parole come immigrazione, clandestinità, accoglienza, sicurezza e cittadinanza? E parlare di stabilità con un Decreto che nasce per rispondere a un’emergenza, ma allunga di fatto i tempi per ottenere la stessa cittadinanza italiana? Dov’è la
coerenza?».

A parlare è Elvira Ricotta Adamo, 30 anni, nata a Manila nelle Filippine, arrivata in Sicilia tramite adozione internazionale quando aveva meno di un mese di vita. Da ormai 10 anni si occupa di giustizia sociale e lotta contro le discriminazioni razziali, soprattutto nei confronti delle “seconde generazioni”, cioè giovani nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati. «I politici dovrebbero tutelare e accompagnare i giovani verso il proprio futuro e realizzazione personale, ma invece di cambiare la Riforma di una legge che di fatto non permette a chi è nato nel nostro Paese da genitori stranieri di accedere automaticamente alla cittadinanza italiana, ne ostacolano il processo», aggiunge la giovane siciliana, puntando il dito sul Decreto sicurezza e immigrazione, promosso dal Ministro degli Interni Matteo Salvini e approvato lo scorso 24 settembre, che prevede tra i diversi punti di estendere fino a 4 anni il termine per la concessione della cittadinanza italiana.

«Con QuestaèRoma – commenta Elvira – un’associazione che ho fondato insieme ad altri compagni di viaggio nel 2013, dopo il mio trasferimento nella capitale, ci occupiamo di portare avanti alcune lotte per tutelare le seconde generazioni. Il Decreto Salvini non soltanto distrugge queste battaglie, ma aumenta tra i giovani il senso di spaesamento e perdita di identità. Molti di loro si sentono, infatti, amareggiati, feriti, scoraggiati e vorrebbero andare via perché non vedono un futuro in Italia. Mi chiedo perché un ragazzo nato a Roma, da genitori stranieri, che non è mai stato nelle Filippine o Sri Lanka, non dovrebbe sentirsi italiano?». Non avere la cittadinanza per un giovane cresciuto in Italia comporta tanti ostacoli come non poter accedere ai concorsi pubblici o non avere il diritto di partecipare a una semplice gita scolastica. «È vero che avere la cittadinanza non esula dal subire discriminazioni – sostiene Elvira -. Io per esempio sono italiana di fatto e di diritto: ho il nome italiano e la cittadinanza, ma sono stata vittima di episodi di razzismo per via dei miei tratti somatici diversi. Nonostante tutto, però, sono convinta che la lotta per la cittadinanza sia la battaglia-madre, per poi affrontare tutte le problematiche attorno al tema dell’integrazione sociale».

EDUCARE ALLA DIVERSITÀ. Un desiderio di aiutare, dunque, anima Elvira, cresciuta a Piazza Armerina, un comune in provincia di Enna, dove sin da bambina è stata costretta a fare i conti con le difficoltà che l’entroterra siculo impone alla diversità. Così, sin da giovanissima si avvicina alle lotte sociali per la tutela dei più deboli, continuando le sue battaglie a Catania, dove frequenta la facoltà di Giurisprudenza. Qui conosce il mondo delle seconde generazioni, che comprendono non solo i figli di immigrati nati in Italia ma anche i giovani arrivati nel nostro paese tramite adozione. Qualche anno viene eletta membro dell’esecutivo nazionale dell’UDU, il sindacato studentesco, con deleghe al numero chiuso, ai diritti civili e alle pari opportunità e alla stampa e a questa vocazione, tutt’ora, si deve la sua presenza nella capitale. Anche se la strada è ancora lunga. «In tutti questi anni di battaglie – continua la giovane siciliana – nulla è cambiato, o forse molte cose sono peggiorate. Sul tema della cittadinanza con l’associazione “QuestaèRoma” ci siamo spesi tantissimo, abbiamo promosso negli anni scorsi la campagna “L’Italia sono anche io”, raccogliendo più di 100 mila firme per presentare alla Camera una legge sulla cittadinanza di iniziativa popolare, che conceda automaticamente questo diritto a chiunque nasca in Italia da figli di migranti». Una proposta, un sogno che sembra concretizzarsi quando nel 2015 riceve l’ok dalla Camera, ma che si sgretola due anni dopo a seguito dello scioglimento del Parlamento.

ITALIA E ACCOGLIENZA, QUALE FUTURO? «Non dobbiamo dimenticare che l’Italia – aggiunge la giovane – è stato un paese migratorio, tutti abbiamo in famiglia uno zio, un nonno e un parente che vive in Canada o Germania. E anche adesso, tanti i giovani che lasciano la nostra terra per cercare fortuna all’estero. Ma perché partire dall’Italia per cercare lavoro significa essere eroi e scappare invece da guerra e morte non è consentito?». Come cambiare dunque la lettura di questo fenomeno e rendere il nostro paese accogliente, frenando odio razziale e paura verso lo “straniero”? «Fare una buona informazione non soltanto sui giornali o tv – conclude Elvira -. Oggi le notizie passano soprattutto sui social. I politici sono sempre più legittimati ad esprimere il loro odio e rancore a colpi di tweet e questo non può che danneggiare l’opinione pubblica. Poi, bisogna investire sulla formazione non soltanto parlando nelle scuole e università di integrazione e diritti sociali, ma capitalizzare risorse sulla “formazione dei formatori”. Sono convinta che la maggiorparte dei disastri vengono dagli adulti. Ricordo che da bambina, una maestra disse ingenuamente agli altri compagni di classe di trattarmi come se fossi uguale a loro, etichettandomi in questo modo come “diversa”. Alla fine degli anni ’80, però, in classe c’era una sola Elvira, ora parliamo di un buon 40%. Infine, serve una rappresentanza. Noi continueremo ancora a impegnarci, ma servono politici disposti a tutto per cambiare davvero le cose e che portino in Parlamento le nostre proposte».

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