L’attore e regista Vincenzo Pirrotta rilegge uno dei classici del teatro elisabettiano, creando un parallelismo fra l’uomo di ieri e quello di oggi e mettendo al centro della sua visione la brama di potere

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]chiu s’acchina e cchiu si cadi ‘n funnu» di questo un mellifluo Mefistofele, vassallo di Belzebù, accusa il dottore Giovanni Faust. L’uomo, raggiunti i più alti gradi di conoscenza in materia di Legge, Medicina, Logica e Teologia adesso brama il potere. È per questo motivo, che nonostante l’angelo buono cerchi di convincerlo a restare nella grazia di Dio che lui invece decide di vendere la sua anima al diavolo e compiere il suo destino. Ottenuto tutto ciò che ha richiesto: donne, ricchezze, regali agli amici e sfregi ai nemici adesso è giunta l’ora per il maligno di riscuotere quanto suggellato con un patto di sangue, anima e corpo. Pirrotta plasma a sua immagine “La tragica storia del Dottor Faust” di Cristopher Marlowe, suggellandola con il titolo di ˝Faust, ovvero arricogghiti u filu˝ e curando con dovizia recitazione, regia, scene e costumi; al fianco dell’attore una formidabile Cinzia Maccagnano, suo infernale contraltare. Il dramma, prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, ha debuttato ieri sera a Catania al Piccolo Teatro della Città, dove resterà in scena fino a domenica.

ORATIONIBUS Lingua e costruzione della frase attingono al più viscerale dialetto siciliano nella sua declinazione palermitana. Non mancano stralci in latino, come si confà a un dotto, e una cadenza che ricorda vagamente il cunto, di cui Pirrotta è maestro, ma che con molta probabilità semplicemente attinge al blank verse usato da Marlowe. La pronuncia è stretta, spedita, il tempo corre mentre Mefistofele racconta la trama; anche lui usa il vernacolo intanto che con aspersorio e acqua benedetta si fa beffa della religione pronunciando una formula contro il malocchio. L’infimo Fool, dalla faccia dipinta di bianco, usa tutta la sua maestria nel circuire Faust costantemente combattuto fra il richiamo limpido del Bene e quello luciferino del Male, che Pirrotta immagina pronunciati dalla sua stessa voce fuori scena mentre due specchi s’illuminano ora di azzurro, ora di rosso. La superficie riflettente, consente l’accesso a una dimensione Altra; non è un caso, infatti, che con movenza ferina il servo del male ne solleva altre quattro poste sul palcoscenico, come a volere aprire il portale degli Inferi. Con fare schizofrenico, Faust/Pirrotta, si muove convulso toccando tutte le sfumature più gravi della voce, le mani si agitano frenetiche sul viso e sul petto mentre è in dubbio se lasciarsi allettare dall’offerta; alla fine, accecato dalla tracotanza, scambierà l’Eternità per il potere. C’è un continuo richiamo d’immagini: dal Cristo capovolto, al Diavolo che appare ondeggiando sull’altalena, sino all’ammaliante seduttrice vestita di rosso mentre danza un sensuale tango, composto da Luca Mauceri che conferisce con la sua musica un’impronta perturbante alla piéce. L’aria che s’inebria d’incenso è il segno che ormai Faust si è affiancato a Belzebù.

LA SEDUZIONE DEL MALE Obnubilato dalla grandezza e dal dolore, Faust solo adesso, che è scoccato il 24° anno dalla firma del contratto, si rende conto a cosa dovrà andare veramente incontro: «Sulu per ventiquattru anni? Disgraziato Faust, mi pigghiaru ppi fissa». Tutto il sapere e la preparazione del mondo non gli sono serviti a nulla. Una parabola cruda in cui l’uomo di oggi si può riflettere, dedito all’inerzia e digiuno di spiritualità. Sebbene Lucifero accompagni Faust nel mondo reale, mentre le luci psichedeliche disorientano lo spettatore; illustrandogliene le brutture attraverso un frenetico rap, quest’ultimo decide consciamente di non agire e di pensare egoisticamente solo al suo immediato interesse. Adesso che anche l’ultima goccia è caduta ed è venuto a capo della matassa, il suo tempo sulla Terra è scaduto, sebbene invano abbia maledetto se stesso e i suoi avi e invocato il perdono e la redenzione dei peccati commessi, non gli resta che discendere all’Inferno avvolto nel caldo abbraccio di Mefistofele.

 

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