Un’esperienza multisensoriale, nata dall’incrocio di culture ed esperienze diverse, rappresenta il marchio di fabbrica del cuoco stellato italo-colombiano, che in virtù della sua voglia di sperimentare è giunto persino a rivisitare uno dei piatti più iconici. «Ciò che conta davvero è trovare un’identità»

Sovversivo ed esaltante al contempo: è il progetto con cui Roy Caceres, chef del ristorante capitolino Metamorfosi, intende reinventare la cucina italiana con la sua anti-pasta “attentando” al piatto più rappresentativo del bel paese: la pasta asciutta. E Così a Taormina Gourmet 2018, il cooking show dello chef italo-colombiano spiazza i presenti col suo esperimento culinario. «Anti-pasta nasce in risposta all’affermazione provocatoria di chi, nel segno della cucina futurista, vedeva nella pasta un piatto obsoleto da superare. Ma come fai a togliere la pasta agli italiani? Con il team di Metamorfosi abbiamo trovato il modo», spiega Roy alla sua curiosa – e già affamata – platea di spettatori. Lo chef esclude il carboidrato nella sua anti-pasta e sceglie il sapore del mare. «Non eravamo nuovi agli esperimenti di concentrazione del gusto dentro la pasta. Ci siamo ispirati alle tecniche asiatiche per rendere il sapore più intenso e lavorando su questo filone abbiamo sostituito del tutto la farina». Una zuppa di pesce, filtrata, poi gelificata con agar-agar (polvere gelificante di colore rosso molto presente nella cucina asiatica), infine disidratata e tagliata fino a prendere le sembianze di una tagliatella: questo è l’anti-pasta, una imitazione realistica che eguaglia l’originale ottenendo persino la consistenza della pasta fresca. Un piatto intenso ed inusuale ma bilanciato, e tutto italiano, servito con una salsa a base di teste di gamberi, olio extravergine d’oliva e limone, poi ancora colatura di alici, salsa di soia, olio all’aglio. «La mia è una cucina fatta di movimento. Per questo ho realizzato un piatto a strati in cui contrastare la parte sapida iodata dell’anti-pasta con una parte dolce marina, optando per il gambero di Mazara del Vallo e per i cannolicchi. Entrambi crudi». Caceres mira a delineare percorsi gastronomici multisensoriali e sfaccettati che sappiano mantenere un equilibrio di sapori diversi all’interno di uno stesso piatto. La loro caratteristica principale, e dunque il loro pregio, deve essere quella di variare la percezione dell’assaggio ad ogni boccone, rivelando ogni volta qualcosa di nuovo. «Il cuoco deve guardarsi dentro e far sì che la sua cucina lo rispecchi, diventando unica nel genere, nel pensiero, nelle sfumature e nei dettagli, anche se piccoli. Bisogna renderla propria, perché i clienti di un ristorante gourmet esigono un’esperienza che sia irripetibile. Oltre i premi, le stelle e i cappelli, ciò che conta davvero è trovare un’identità», afferma.

Roy Caceres al Taormina Gourmet 2018
Roy Caceres al Taormina Gourmet 2018

GUARDARE ALLE ORIGINI. Roy ha trovato la propria firma riproducendo ed esaltando i piatti dei fornelli italiani, sui quali si concentra non solo per omaggiare la nostra cucina, ma anche per consolidare il suo senso di appartenenza al nostro paese: «Vivendo qui volevo sentirmi più italiano possibile, ma nel tempo mi sono reso conto di aver trascurato le mie radici». Perciò guarda indietro, alla sua infanzia, e si racconta. La passione per la cucina gli viene tramandata dal nonno siriano, cuoco per passione, che lo ha iniziato alle spezie e ai sapori della cultura mediorientale – come la carne cruda – quando era ancora bambino e sognava diventare giocatore di pallacanestro. Lo chef naturalizzato romano si definisce come un mix, un incrocio di culture: appartiene al suolo sudamericano ma trova il suo floruit in Italia, la sua nuova patria, attingendo da esperienze e influenze diverse. «Quando sono arrivato qui mi sono trovato in una cucina per caso a lavare i piatti e ho capito che quella era la mia strada. Io mi sento italiano al 100% ma oggi sento di dover riscoprire le mie origini colombiane, avviando una strada parallela alla cucina italiana». Oggi Roy Caceres ricerca un’esperienza gastronomica che coinvolga più di un organo di senso ed incentrata sulla professionalità, sulla sincronia di un team efficiente e collaborativo che sia una fucina di idee, e soprattutto sulla cura del dettaglio, perché «essere bravi a cucinare non basta, è tutto quello che ci sta intorno a fare la differenza. Questa è la mia filosofia».

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