L’incontro a Catania: «Oggi intendiamo certi crimini contro l’umanità come un metodo anti-statale, ma in realtà il terrorismo è nato come metodo di governo»

«Cosa lega crimini contro l’umanità e terrorismo? L’essere entrambi fatti politici: infatti anche quando oggi si parla di terrorismo islamico è chiaro che dietro tale etichetta si celino altri interessi». Così Rosario Aitala, giudice della Corte Penale Internazionale, ha esposto i temi principali trattati durante il seminario “Geopolitica della paura – Terrorismi, atrocità, politica internazionale”, organizzato e moderato dalla Prof.ssa Panebianco alla presenza del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali prof. Giuseppe Vecchio e tenutosi giorno 2 maggio a Palazzo Pedagaggi.

I CRIMINI INTERNAZIONALI COME FATTI POLITICI. «A Kabul – racconta Aitala – sono le 5 del mattino e due ragazzi non hanno chiuso occhio, l’uno pregando Allah e l’altro isolandosi con il proprio cellulare. Un ultimo saluto alle madri che piangono e poi si va in missione: un giovane in moto si fa esplodere in un’area pedonale e, quando tutti i reporter sono accorsi, tra loro c’è un infiltrato. Un’altra esplosione, altre vittime, odore di carne bruciata che penetra nel cervello. Solo così, personalmente colpiti, i media hanno dato risonanza a un attentato a Kabul che altrimenti sarebbe stato solo uno dei tanti all’ordine del giorno». Dall’alto della propria esperienza in paesi impegnati in guerre infinite, il giudice continua: «A Ghouta una ragazza stava passeggiando con dei bambini quando vede dei fusti di metallo a terra: bruciore atroce, urla, è un attacco al cloro. C’è anche altro, ci sono detenuti che temono la luce perché quando si accende vuol dire che è pronta un’altra scarica elettrica». Ad accomunare storie così diverse è il fatto che si tratta sempre di abusi di umanità classificabili come attentanti terroristici e crimini internazionali.

IL TERRORISMO IN TUTTE LE SUE FORME. «Oggi intendiamo il terrorismo come un metodo antistatale, ma in realtà esso è nato come metodo di governo. Il primo a instaurare un Regime del Terrore fu Robespierre, che aveva già capito a fine ‘700 che i nemici vanno governati con la paura e intimiditi con le uccisioni di alcuni di loro». Con queste parole Aitala mette in rilievo come il terrorismo sia stato anche uno strumento, scorretto, di cambiamento: «Si pensi al terrorismo insidioso ed eversivo di estrema destra e alle Brigate Rosse nell’Italia degli Anni di Piombo». «Esiste poi un terrorismo stragista – continua Aitala – che colpisce chiunque indifferentemente, e affonda le proprie radici nei contrasti tra i Sionisti ebrei e i Palestinesi musulmani in Palestina. Il terrorismo di cui però oggi sentiamo maggiormente parlare è quello cosiddetto islamico: ma quale religione potrebbe ammettere l’uccisione dei propri fedeli? Dietro questa degenerata jihad (la cosiddetta “Guerra Santa”) si celano in verità interessi geopolitici che hanno coinvolto negli anni la CIA americana, l’ex URSS e l’Arabia Saudita». Il giudice osserva che gli autori degli attentati terroristici sono giovani dalle menti ancora plasmabili, come l’anarchico francese Émile Henry (1872-1894), che puntano a colpire chiunque secondo il principio di “depersonalizzazione della vittima” tipico del terrorismo (citando così Antonio Cassese). «Se si colpissero i grandi nomi – osserva Aitala – la gente comune vivrebbe tranquilla, mentre l’obiettivo di chi “pratica il terrore” è quello di moltiplicare la paura».

CORTE PENALE INTERNAZIONALE CONTRO I CRIMINI DI GUERRA. Di fronte a simili efferati atti e a crimini internazionali come i genocidi, si è resa necessaria vent’anni fa l’istituzione a Roma di una Corte Penale Internazionale pronta a intervenire nel tentativo di rendere più civile l’inciviltà della guerra. Essa si attiva nel momento in cui le Corti statali non sono sufficienti, come quando vengono violate le norme delle Convenzioni di Ginevra, che proteggono civili, malati, detenuti: «I crimini di guerra sono violazioni del diritto internazionale umanitario ed è necessario un attento controllo perché in tutti gli Stati tale diritto sia rispettato» conclude il giudice Aitala.

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