Lo spettacolo in cartellone allo Stabile di Catania fino a domenica 15, andrà in scena anche lunedì 16 al teatro Garibaldi di Enna e giovedì 19 al teatro Regina Margherita di Caltanissetta

Siamo abituati per lo più a vedere al telegiornale o sui quotidiani le immagini degli immigrati che sbarcano dopo lunghe traversate in mare, alla conta di quanti sono stati i morti e di quanti, invece, ce l’hanno fatta. Siamo abituati ai talk televisivi, dove ci si schiera da una parte o dell’altra, fra chi li vuole rimandare indietro e chi sostiene che bisogna aiutarli perché anche a noi un tempo è toccato un destino simile, intanto che i toni si alterano e l’atmosfera si surriscalda. Stefano Massini immagina un testo per il teatro che prende spunto da una storia vera, un lungo monologo nel quale la coraggiosa nonna Haifa racconta la fuga con la nipotina Nassim dalla città irachena di Mosul verso Stoccolma in un viaggio di 5.000 km per sfuggire alla guerra civile.

HAIFA DONNA CORAGGIOSA. Il teatro questa volta si fa portavoce della contemporaneità, di quella più vicina a noi e si avvale di una narratrice d’eccezione, un’immensa Ottavia Piccolo, la quale con la sola parola ci porta all’interno della storia pian piano. Qualche accenno alla sua infanzia, alla sua vita, intanto che come ogni giorno trascorre del tempo con la nipotina. A un tratto l’orrore, il doversi fingere morta pur di scappare alla forza bruta dei miliziani islamisti e da lì, l’inizio di un’impresa inimmaginabile per chi come lei non ha mai viaggiato.

LA STRADA È LUNGA. In questo lungo cammino che le porterà lontano non mancheranno le difficoltà, tante tantissime e così, frattanto che il viaggio procede, Haifa descrive gli uomini e le donne che incontra. Il suo è un dialogo con la musica che sin dall’inizio crea l’atmosfera intonando una suggestione. Gli strumenti però non servono solo a ricreare l’ambientazione etnica, a dare il ritmo ma diventano personaggi: il pastore, i suoi figli bambini/adulti, Raida la giovane donna sfregiata, l’uomo ungherese che si offre di fargli passare il confine a patto che ingoino ovuli di droga, il libanese di Danzica.

LA MESSA IN SCENA. Ad ogni passo che muovono a ogni difficoltà che superano, lo spettatore sarà sempre più dentro il racconto. A trionfare è la potenza dell’immaginazione su un palco quasi del tutto vuoto, dove al centro c’è solo un praticabile sul quale si muove la Piccolo, con il suo soprabito grigio, il vestito largo e i capelli bianchi mentre otto musicisti capitanati da Enrico Fink, autore delle musiche, si alternano in una miriade di strumenti da quelli più tradizionali: chitarra, viola, violoncello, violino, basso, sino a quelli più etnici come l’oud, il cümbüs, il bouzouki. È altrettanto intenso il gioco di luci di Alfredo Piras, come quando con un solo proiettore dal palco illumina la sala intanto che la nonna racconta in un momento di pace, su una scena completamente al buio, la storia che aveva iniziato quel pomeriggio prima di sentire gli spari.

DENTRO IL RACCONTO. L’impressione è che ti manchi l’aria mentre scappano attraverso i cunicoli, hai voglia di tendere il braccio dal treno in corsa per poterli aiutarli ma sei a teatro e allora l’unica arma che hai a disposizione è l’applauso, sentito, vissuto fino all’ultimo. La meta è ancora lontana nonostante dal campo si vedano le luci della Grecia; «Ci sembrava di essere dall’altra parte!» ma non era così. Li aspettava ancora il naufragio della barca, il freddo, la pioggia in quell’inferno, dove non c’è tempo per piangere, neanche se a morire è il tuo fratellino. Colpisce, come l’unica umanità che riescano a incontrare sia quella monetizzata, così ogni confine ha il suo prezzo, caro, pagato in dollari.

OCCIDENT EXPRESS. Risalendo per la tratta dei Balcani siamo, sì perché ormai anche noi siamo lì insieme a loro, giunti fino in Polonia, manca poco per arrivare in Svezia. Sono passati 118 giorni dall’inizio del viaggio, è l’ultimo sforzo, intanto che uno a uno saliamo sul container, sulla cui fiancata c’è scritto Occident express. Il mantice della fisarmonica simula il respiro umano mentre in maniera estenuante viene ripetuto «Non sprecate l’aria».

Mezza sala, lunghi applausi, questa sera usciamo da teatro con il cuore pieno di emozioni e la testa piena di riflessioni.

 

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