Nell’era in cui la politica si fa su Twitter e i suoi proclami non bastano a trattenere nella propria terra i giovani siciliani, ci è voluta la rock band bolognese, ospitata dall’università etnea, ad accendere il dibattito e risvegliare una nostalgia di partecipazione

L’Italia è uno Stato sociale. Che significa? Che mira a garantire e fornire diritti e servizi sociali secondo il principio di uguaglianza. Quanti dei giovani siciliani sentono riconosciuta questa definizione? E che impatto ha ciò sulla partecipazione politica? Il tema è stato vivacemente discusso dai circa 150 ventenni presenti alla conferenza Io non voto, e tu? La disillusione giovanile nei confronti della politica tenutasi lo scorso 15 febbraio al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania che ha avuto come ospite il gruppo indie rock bolognese Lo Stato Sociale. 

Ma cosa ci fa una band in un’aula universitaria? Ciò che sembrerebbe un mero escamotage per attirare auditori si rivela una scelta pertinente che ci dice molto su un modo di fare musica, secondo il quale radio e stadi non sono più sufficienti; e anche su un nuovo modo di fare politica per il quale sono i politici di professione a risultare inadatti.

Emancipazione, democrazia, socialismo sono alcune delle parole che ricorrono nei testi satirici de Lo Stato Sociale, i quali portano sul palco la disillusione giovanile, vincendo la sfida di unire messaggi sociali e musiche orecchiabili. Così le canzoni diventano espressione di una generazione: i giovani sentono garantito il proprio benessere non più da un sedicente Stato sociale ma da un gruppo musicale che ne porta il nome. E così fra le note di una tastiera Yamaha in clima da pomeriggio con amici, emerge un diffuso malumore fra gli studenti catanesi. Come mai?

TANTI LIKE MA PIAZZE VUOTE. «Viviamo una fase di likeizzazione del voto elettorale – spiega il prof. Rosario D’Agata -,  spesso si vota come si mette un like, presi da armi di distrazione di massa». Lo stile dei media è divenuto di fatto modello comunicativo, per cui si preferisce parlare d’immigrazione anziché di politiche di sviluppo territoriale, perché, come lamenta il professore Maurizio Avola, queste «non sono facili in 120 caratteri». Di fatto, se è vero che i nostri rappresentanti pare abbiano preso gusto ad inseguire like, preferendo dirette Facebook a un comunicato ufficiale, a perdere è l’approfondimento, che sembra demodé, persino all’università. «Dobbiamo svilirci per riempire un’aula con 30 persone! Perché non scendiamo più in piazza? Perché ci incontriamo solo sui social?». É l’amara provocazione che Eugenia, studentessa, rivolge ai suoi colleghi, facendo notare che lo scarso attivismo politico si riscontra già nell’ambiente universitario. Una situazione paradigmatica se si pensa che gli studenti del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dovrebbero essere tra i più interessati alla faccenda. «Qualche giorno fa ho avuto una crisi: ho chiesto ai miei colleghi: “Cosa volete fare da grandi?” Alcuni mi hanno risposto che siamo già grandi. Già. Io mi sento molto sfiduciata», confida tremante una studentessa. E non è la sola.

IMPEGNO POLITICO E DISOCCUPAZIONE. Stando al prof. Avola, impegno politico e disoccupazione vanno a braccetto: «I giovani – spiega – interpretano la scarsità di lavoro come distacco». E in effetti, se nel 2017 la Sicilia si trovava nella top ten delle regioni europee con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, agli albori del 2019 i dati non sembrano essere granché cambiati. Se, poi, a ciò si aggiunge che ogni anno vanno via dalla Trinacria fra i 10mila e 20mila conterranei, il quadro che ci viene restituito sembra condannare i giovani alla disaffezione politica. Come dare torto all’intervento di uno studente quando spiega che la risposta starebbe nel fatto che «qualsiasi forza politica non ha portato reali benefici alla popolazione»? Spuntano allora le proposte più estreme: qualcuno solleva dubbi sulla permanenza nell’UE; qualcun altro addirittura rimpiange la monarchia, interpretando la diffusa sfiducia verso una democrazia schiava dei giudizi di pancia degli elettori.

«CONSOLIDARE LE BASI DELLA CULTURA» . Cosa fare allora? Il report “Generazione 18”, condotto da Sicilian Post e Fondazione DSe, aveva messo in luce che l’85,90% dei giovanissimi sarebbe andato al seggio a marzo 2018 ma che il 56% non si sentiva rappresentato da alcun schieramento. Insomma: le idee confuse non mancano, ma neanche la volontà. Così gli studenti di via Gravina concordano sulla necessità di lottare contro fake news e pigrizia intellettuale. È questa l’unica soluzione secondo uno studente: «Se consolidiamo le basi della nostra cultura, senza richiedere fondi al governo ma a partire dal nostro impegno negli studi e in incontri come questo, se ci formiamo coscienza critica allora la politica da quattro soldi non avrà più modo di approcciarsi alle nostre menti».

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