Lo spettacolo sarà in scena fino al 15 maggio al Teatro Stabile di Catania con Rosario Minardi, Sebastiano Tringali e Giovanni Argante

Un quadro che raffigura un uomo solo nel mezzo del nulla apre la scena di una delle commedie più famose di Molière, riadattata dal regista Giovanni Anfuso. Su di un letto, mentre si gira e rigira nell’impossibilità di dormire, Alceste, (interpretato dall’impeccabile Rosario Minardi) turbato dai mali della società moderna. La civetteria, la mondanità, la chiacchera preferita alle parole, come fossero delle malattie, impediscono al ribelle, odiatore degli uomini Alceste, di adattarsi alla società che vorrebbe cambiare, è da solo contro tutti. Si lamenta, è scontroso, non conosce mezze misure. Appare patetico, lui da solo, contro una società che vive nell’apparenza. In questa pièce Anfuso ha scelto di concentrarsi sul dramma: quello di un amore non corrisposto, quello di una società che chiude le porte a chi dice le cose che pensa il cuore. Il teatro e la vita sembrano dei mondi paralleli non destinati ad incontrarsi, non ci sono eroi ed eroine, non ci sono ribelli che cambiano il mondo. Tutti i personaggi sono patetici, si muovono, brancolano nei salotti sfavillanti preferendo alla verità la galanteria, all’amore passionale e puro, l’inganno. L’indomabile Alceste, accecato dall’amore per la bella e civetta Célimène, interpretata dalla sensualissima Giovanna Di Rauso, che lo lascerà da solo, nella sua ostentata ribellione, è un disadattato, un uomo che non sente ragioni, che spera di trovare lontano da tutti, nella sua solitudine, un mondo diverso, che non può esistere senza gli uomini. In questo teatrino, lo spettatore è perplesso. I dialoghi non risolvono le situazioni ma esasperano la differenza di carattere tra il protagonista e gli altri, si colorano di francesismi e continuamente trascinano lo spettatore dentro la scena, segnata dal continuo irrompere dei protagonisti nella platea, dalla leggerezza delle musiche di Nello Toscano, e da una scenografia curata da Alessandro Chiti che via via immerge lo spettatore nell’artefatto e finto mondo borghese, lasciandolo con l’amaro in bocca.

 

 

 

 

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