Lo spettacolo La scortecata sarà in scena fino al 31 marzo al Piccolo Teatro della Città di Catania. Nella rilettura che la drammaturga palermitana ha operato sul testo originario di Basile un misto di inquietudine e amara riflessione colpisce lo spettatore

C’era una volta in un paese lontano lontano una fanciulla talmente bella che il re, sentendola solo cantare, se ne innamorò perdutamente. La ragazza però nascondeva un terribile segreto, non era una fanciulla, tantomeno giovane, così per celare il suo aspetto, d’accordo con la sorella, aveva escogitato un piano. Muovendo dal racconto, contenuto all’interno della raccolta Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, Emma Dante dà vita a una favola moderna in cui mantiene il dialetto napoletano del testo, stravolgendo però lo scopo e il finale dell’opera.

LA MESSA IN SCENA. Rosina e Carolina, in là con gli anni e insoddisfatte della loro vita, puntano a un gioco al massacro, dove i sentimentalismi non trovano posto e le pulsioni di vita prendono il sopravvento. L’aspetto fatato si trasforma nel viaggio psicologico di Carolina assecondata dalla sorella in questo malsano desiderio di ri-nascita che sfocerà alla fine, nonostante la riluttanza di quest’ultima, nella più brutale delle violenze. La scena è vuota, solo il centro è occupato da un castello in miniatura tutto colorato di blu e azzurro, ai due lati ci sono due seggiole mentre sullo sfondo un baule coperto da un lenzuolo bianco; inoltre, a creare l’atmosfera, contribuiscono le intense luci color ambra. In un sovvertimento delle regole, in fondo si tratta di un gioco brutale, a interpretare le due donne sono gli straordinari Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, gli stessi a cui basta indossare una corona, simile a una gorgiera, per rivestire i panni del re.

04/07/2017 60 Festival dei 2 Mondi di Spoleto. Teatro Caio Melisso, spettacolo La Scorticata testo e regia di Emma Dante. Nella foto Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola

IL LAVORO SUL PERSONAGGIO. Il movimento e l’azione ideati dalla regista scavano in questo caso nei personaggi, ricercando aspetti, manie come il vezzo della borsetta, da cui ogni donna, soprattutto quelle di una certa età, fatica a separarsi. Alla postura malferma della vecchiaia si contrappone il vigore e la giovinezza del re e della stessa Carolina tramutata con un colpo di bacchetta in un’incantevole fanciulla dai bellissimi capelli rosso fuoco. Il ritmo è scandito dalle parole, dal linguaggio, dalla musica che attinge rigorosamente alle canzoni napoletane, sempre rivisitate, facendo crescere tra una battuta e l’altra le risate del pubblico prima di arrivare a un oscuro umorismo. I due interpreti giocano attraverso la modulazione della voce, facendo dimenticare la loro vera natura e immergendosi in una dimensione cruda di realtà con atteggiamenti spesso ripetitivi, come quando all’inizio si trastullano il dito per farlo diventare liscio e mostrarlo al re attraverso il buco della serratura per non svelare l’età. A una drammaturgia solida si aggiunge una lettura registica coerente che viene permeata attraverso una chiave pseudo-ludica: l’alternanza dei personaggi, usata per raccontare l’antefatto e procedere con la narrazione, l’escamotage della porta tenuta dagli stessi attori per distinguere l’interno dall’esterno, l’amplesso simulato attraverso il lenzuolo, fino ad arrivare all’incontro onirico fra il re e la bella e giovane principessa, tutto di spalle. Mantenendo fede a un ideale d’attore completo, strutturato attorno alla parola e all’azione, Emma Dante restituisce due figure terrene, umane, in cui l’ideale della bellezza e giovinezza è supremo e di contro la vecchiaia viene descritta come la sofferenza prima della morte. Il testo barocco di Basile riecheggia nei costumi del re e della principessa oltre che nell’eco dei versi classici, ma alla fine è solo un pretesto per raccontare il malessere del corpo e della mente. Un riso amaro che lascia un senso d’inquietudine finale, proprio come la vita il cui cerchio si chiude con la morte.

Aggiornato il 28/03/2019

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