A Catania dal 15 luglio al 18 agosto, sarà possibile visitare le installazioni realizzate dall’artista romano in collaborazione con l’associazione culturale Unfold, fondata da Pietro Scammacca. «Una sorta di pellegrinaggio attraverso l’Europa – racconta l’autore –, un continente percepito come una confederazione di Stati in pace e in prosperità ma in realtà pieno di guerre vere, che nel suo confine meridionale vive un momento di crisi che sta trasformando il Mediterraneo in un cimitero a cielo aperto»

Termosifoni vintage e luci a intermittenza, sedie e panche moderne per ammirare opere antiche, vecchie credenze che un tempo custodivano servizi di valore, ritratti di chi ha vissuto il palazzo Biscari nei tempi d’oro. È proprio in alcune delle stanze del palazzo nobiliare che sorge nel cuore di Catania che l’artista romano Gian Maria Tosatti ha allestito la maestosa opera Il mio cuore è vuoto come uno specchio, in collaborazione con l’associazione culturale Unfold, fondata nel settembre del 2017 da Pietro Scammacca per valorizzare l’arte barocca e creare un dialogo con le opere contemporanee. Un’operazione che parte da Catania, città d’origine di Scammacca – uno dei curatori della mostra che apre oggi al pubblico e che sarà fruibile fino al 18 agosto – che si è formato tra Pechino e Londra, per poi tornare nella sua città e dedicarsi all’arte, passione che lo anima fin da quando era bambino.
«L’obiettivo di Unfold è commissionare opere site specific o portare opere contemporanee in spazi storici della Sicilia, accompagnando le mostre con discussioni tenute da filosofi nazionali e internazionali», spiega Scammacca, che sottolinea il fatto che per la prima volta palazzo Biscari ospita una mostra di arte contemporanea.
Una mostra sui generis dove non ci sono didascalie e a volte neanche i quadri sui muri, dove si respira odore di storia e che lascia senza fiato quando si entra nell’enorme stanza riempita di sale, che Tosatti ha realizzato coinvolgendo gli studenti del corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti coordinato da Massimo Savoia.

Gian Maria Tosatti – Il mio cuore è vuoto come uno specchio, Catania 2018 from Artribune Tv on Vimeo.

«Tutto il mio lavoro si basa prevalentemente su grandi cicli di istallazioni ambientali in edifici a volte antichi altre volte moderni, in cui cerco di creare grandi macchine in cui il visitatore entra per vivere un’esperienza che concentra l’attenzione su tematiche che hanno un loro peso rispetto al momento storico che stiamo vivendo», osserva l’artista, che ha debuttato nelle arti visive a Roma prima di spostarsi a New York, dove vive da dieci anni, anche se non nasconde la voglia di tornare in Italia.
«Il nuovo ciclo – di cui l’episodio di Catania è il primo capitolo – rappresenta una sorta di pellegrinaggio attraverso l’Europa, un continente percepito come una specie di confederazione di Stati in pace e in prosperità ma in realtà pieno di guerre vere, con morti e feriti, che nel suo confine meridionale vive un momento di crisi che sta trasformando il Mediterraneo in un cimitero a cielo aperto».
Si parte quindi dal Mediterraneo e da Catania per raccontare di come in questa grande epopea della vita noi, che stiamo qui, continuiamo solo a creare morte. «Per quanto siano distanti le opinioni di fronte a questo grande esodo, la verità è che stiamo producendo qualcosa di morto e dobbiamo chiederci che tipo di civiltà siamo diventati».


E l’arte può servire a stimolare il dibattito, soprattutto quando ci sono artisti che si assumono la responsabilità ontologica di sbatterci in faccia la realtà. «Fare un’opera d’arte equivale sempre a costruire uno specchio, non ha mai un messaggio da portare ma una rifrazione. E ci sono alcuni momenti storici in cui ti guardi allo specchio e le certezze non ci sono più, neanche quella di ritrovarsi lì».
Ecco perché l’opera va fruita in solitudine, in modo personale, prerogativa delle performance di Tosatti, che punta sull’effetto sonoro e su elementi che richiamano l’attenzione del pubblico. «Quella del sale è una metafora complessa – dice riferendosi all’istallazione catanese –  perché se è vero che è un riferimento forte al mare, è anche il materiale che si usava un tempo per mantenere in buono stato la carne o conservare le mummie. Una civiltà morta, dunque, è una società annegata nel sale, elemento di coscienza che ci ricorda che siamo immersi in un tessuto che serve a conservare i morti».

Il prossimo episodio è in programma per il 6 settembre a Riga, Lettonia, dove Tosatti allestirà l’installazione in una fabbrica sovietica abbandonata, ormai in buona parte assorbita dalla natura.
«Ogni opera è pensata specificatamente per l’edificio, la città e le temperature umane che la ospitano, anche se tutte seguono l’idea fantasmatica della nostra civiltà. E se Catania è rumore, chiasso, dibattito, la Lettonia è un Paese di rarefazione, dove c’è silenzio e grande distanza. Anche se i problemi, alla fine, non sono diversi».

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