L’orchestra del Teatro Massimo Bellini inizia a suonare le famose note di Sergej Prokof’ev, il sipario si apre e un’imponente croce preannuncia la conclusione della più tragica storia d’amore di tutti i tempi

[dropcap]I[/dropcap]l funesto finale della vicenda apre la rivisitazione neoclassica di un balletto di repertorio intramontabile quale “Romeo e Giulietta”, eseguito dal corpo di ballo del Teatro di Pilsen su coreografia di Libor Vaculík, recentemente andato in scena al teatro Vincenzo Bellini di Catania. Tanti i grandi coreografi che nel passato hanno realizzato vari allestimenti del balletto: da Cranko a Nureyev negli anni ’60 fino a Peter Martins negli anni ’80, per finire con versioni ancora più recenti e dal respiro meno internazionale come quella di Luciano Cannito. Vaculík invece lo fa proponendo una versione più breve e incentrata solo sui momenti chiave della storia e “svecchiando” il repertorio: lo si intuisce fin da subito, dalla scelta di iniziare dal finale mostrando a tutti il tragico e noto epilogo.

MOVIMENTI RIGIDI. Alla cupa apertura segue una scena di piazza in cui i ballerini danzano con movimenti meccanici lontani dalla spontaneità di una folla di gente in strada. Tra loro dovrebbe distinguersi un baldo giovane, Romeo (nel primo cast Václav Lamparter), che in realtà non eccelle e si confonde con gli altri solisti, come Tebaldo e Mercuzio (rispettivamente Richard Ševčik e Justin Rimke). Anche la fatale lotta tra Tebaldo e Mercuzio perde in parte la propria intensità: l’ansia e l’agitazione del popolo che assiste schierandosi da una parte o dall’altra genera un effetto confusionario che rischia di far passare in secondo piano l’uccisione. Contribuisce a questo anche la scelta di ricorrere all’uso della voce: i ballerini, che solitamente nella tradizione tersicorea si esprimono solo con il corpo, urlano in scena per manifestare la loro irrequietezza.

TEMPI MODERNI E SENZA BALCONE. Poche emozioni regalano anche gli incontri d’amore tra Romeo e Giulietta. L’attesissima scena del balcone è sostituita da un appuntamento più da “tempi moderni”: senza mezzi termini la nutrice, nel momento in cui entra in camera di Giulietta, trova i due innamorati sotto le lenzuola e Romeo si alza a petto nudo. Václav Lamparter e Anna Srncová, i ballerini del primo cast che interpretano Romeo e Giulietta, sono giovani e belli, ma non lasciano trasparire sintonia tra loro. Lei è priva di quella leggiadria che la spensieratezza di un’adolescente e l’ebbrezza del primo amore dovrebbero generare. I movimenti poco aggraziati e non sempre tecnicamente perfetti mostrano una Giulietta più simile a una baccante invasata che ad una giovinetta innamorata. La poca fluidità potrebbe essere imputabile anche alla scelta di far svolgere quasi l’intero balletto sulle mezze punte, che non sempre consentono alle ballerine di dare l’impressione di sfiorare appena il palcoscenico come fanno solitamente con le classiche scarpette da punta.

MACABRO PAS DES DEUX. La tragicità della scena iniziale, che come detto anticipa il triste epilogo, non ritorna nel finale, grottescamente comico: il classico passo a due in cui Romeo danza sollevando il corpo inerte di Giulietta apparentemente morta è sostituito da un altro “pas de deux”. È Giulietta stavolta che, risvegliatasi dal sonno volontario, trova Romeo non ancora morto, ma evidentemente in agonia. Senza rendersene conto la fanciulla cerca di ballare gioiosa con lui finchè il rampollo dei Montecchi cade a terra senza forze e lei, che finalmente si accorge di tutto, decide di togliersi la vita.

ORCHESTRA E ALLESTIMENTO. Non convince del tutto neppure l’orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania e la sua giovanissima direttrice, Claudia Patanè; è come se la mancanza di pathos dei tersicorei avesse avuto effetto anche sulle note di Prokof’ev, non si percepisce infatti l’intensità di brani celebri come quello che accompagna la morte di Giulietta lasciando interdetto lo spettatore. Al contrario, gli abiti d’epoca, semplici e funzionali, curati da Roman Šolc così come la scenografia allestita in chiave moderna e scarna da Martin Černý, ben si adattano a questa rivisitazione più “snella” rispetto al repertorio.

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