Nel capoluogo aveva aperto un ristorante a casa sua chiamato “Chez Munita” prima di essere assunta in uno dei locali più di tendenza a Catania: «Il “ristorante domestico” non è riconosciuto come attività professionale e le normative sono ancora incerte, ma forse è meglio così: per fare il cuoco non basta indossare un cappello»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]È[/dropcap] stato un laboratorio di sperimentazione della mia cucina, non un business. Anche se oltre la passione, ovviamente, c’è tanta professionalità». Valentina Chiaramonte, chef palermitana attualmente al timone del locale catanese Fud Off, racconta sulle pagine digitali di Sicilian Post l’esperienza intrapresa dal 2014 al 2016 con l’home restaurantcon cui si era temporaneamente ribattezzata “Chez Munita”.

«L’home restaurant è una cosa underground, sottoterra, nascosta. Rendere un’attività del genere continuativa va contro i principi iniziali di questo tipo di iniziativa, che deve essere praticata sporadicamente», spiega Chiaramonte, che una volta rientrata a Palermo dalle cucine di diversi chef – tra cui spicca lo stellato Claudio Ruta che opera al ristorante la Fenice di Ragusa – ha creato, nel soggiorno di casa sua, un tavolo sociale per dodici ospiti, con un menù stabilito di volta in volta.

Fud Off

«Ad ogni cena si accompagnava la performance di un artista, designer, scrittore, pittore, musicista o attore, con cui si innescavano delle dinamiche relazionali interessanti». La cucina rappresentava in quel contesto l’elemento sociale che legava tutto e Valentina, nei panni di cuoca professionista, preparava a due passi dalla tavola curata nei minimi dettagli tantissimi piatti a base di materie prime e spezie prelibate. «Erano cene eleganti, raffinate e minimaliste. È stata la prima volta in cui mi sono cimentata in un progetto personale, perché fino ad allora avevo sempre e solo lavorato in ristoranti».

Dove è tornata nel 2016 quando Andrea Graziano – già proprietario del Sale Art Cafè e Fud Bottega Sicula – ha inaugurato Fud Off, sempre in via Santa Filomena, e l’ha voluta alla guida del locale. Un’inversione di marcia percepita dalla chef siciliana al pari di una scelta religiosa. «Fare il cuoco è una missione – commenta – e devo dire che tutta l’attività fatta con l’home restaurant, nonostante fossimo in due a gestirlo, mi ha insegnato tantissimo e mi è servita per quello che faccio oggi». Valentina non si occupa esclusivamente di cucina, ma cura anche l’aspetto organizzativo del locale di via Santa Filomena.

Fud Off (foto G.Romeo)

«Ogni cena organizzata in casa era un evento chiuso, circolare, per cui era necessario pensare al menù, alle prenotazioni, al beverage, alla mise en place, alla grafica, agli artisti. E anche agli inconvenienti. Cucinare per dodici o per cinquemila persone non fa differenza, l’impostazione è sempre quella, ed è la stessa che ho oggi dietro ai fornelli di Fud Off», chiarisce la cuoca, che per il futuro non desidera aprire un proprio locale, ma dedicarsi a Off. «È appena nato e ha bisogno di cure e attenzioni continue – chiarisce. I progetti sono tanti e la possibilità di crescita interessante, ormai è casa mia e il mio augurio è di poter lavorare sempre con Andrea».

Resta comunque indimenticabile e formativa l’esperienza del ristorante casalingo, che Chiaramonte ha tentato di legalizzare. «Non c’è stato nulla da fare – racconta – purtroppo un difetto dell’home restaurant è proprio quello che non viene riconosciuto come attività professionale. Neanche i comuni ancora sanno come muoversi riguardo al fenomeno. Ma forse è anche giusto così, perché il suo senso sta nell’essere un’esperienza saltuaria».

Uno dei piatti di Valentina Chiaramonte

Che in questo modo non reca disturbo di alcun tipo ai ristoratori, in quanto non rappresenta una concorrenza, visto che sono due attività completamente diverse. «Oggi chiunque indossi una giacca da chef pensa di essere un cuoco, ma per fare il cuoco ci vuole ben altro. È un’attività da esercito che presuppone pazienza, determinazione, passione, spirito di sacrificio immenso e un senso della squadra e di problem solving continuo. I cuochi – conclude – vedono molto di più i colleghi che la famiglia e non sempre questo sacrificio è compreso. È un lavoro duro e non è per tutti. Non basta dire “Mi piace cucinare” per farlo, ci vuole altro. Ci vuole la magia».

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