Il collettivo catanese si è affacciato, dopo tanta gavetta, sulla scena nazionale, vincendo il premio Pivi nel 2018 e attirando l’attenzione di nomi importanti come Baustelle e Zen Circus. Il tutto grazie ad una Sicilia fantastica e trasformata sullo sfondo, in cui le montagne di Nicolosi e Centuripe diventano quelle afgane o i boschi dell’Etna una scena horror

Spettrali boschi canadesi, paesaggi lunari, case dell’Alabama rurale, nuvolose vallate siriane e psichedelici parchi dell’Inghilterra anni Sessanta: nei videoclip dei Ground’s Oranges – il collettivo catanese formato dal regista Zavvo Nicolosi, il direttore della fotografia Jacopo “Gnomo” Saccà, il produttore esecutivo Dimitri Di Noto, l’autore, grafico e aiuto regista Marco Riscica e lo sceneggiatore Riccardo Nicolosi – la Sicilia si trasforma in mondi e scenari altrimenti lontanissimi, richiamando le attenzioni del resto d’Italia, di band come Zen Circus e Baustelle, di artisti siciliani affermati come Mario Venuti e talenti in ascesa come Gazzelle e Colapesce. Zavvo, Jacopo, Dimitri, Marco e Riccardo sono cinque ragazzi che mentre lavorano negli ambiti più diversi – chi fa il tecnico del suono, chi lo psichiatra – coltivano un’enorme passione per il cinema. Per tutto il cinema, nessuna declinazione esclusa: dal primo Hitchcock all’Antonioni in bianco e nero, dai videoclip a stelle e strisce di Spike Jonze al surrealismo pop di Michel Gondry, dai film italiani di genere – e quindi Mario Bava, Lucio Fulci, Dario Argento – all’immaginario dei cartoni animati giapponesi. E poi Wes Anderson, True Detective, i video della propaganda islamica, quelli delle Spice Girls e dei Verve, Paolo Sorrentino e i primi videoclip della storia della musica, quelli con cui i Beatles corredarono Magical Mystery Tour. Di questo immaginario si sono innamorati prima loro e di queste immagini hanno poi fatto innamorare il resto della scena musicale indipendente italiana, che negli ultimi mesi s’è affidata al loro occhio per sfornare qualcosa di diverso e ambizioso, contro le tendenze e le mode che imperano in tutto il panorama.

Alle canzoni e ai videoclip i Ground’s Oranges in realtà ci sono arrivati in un secondo momento, perché la loro storia parte molto prima di adesso: probabilmente il loro nome vi dice qualcosa in questo momento, perché il loro lavoro su Maometto a Milano di Colapesce ha vinto il premio Pivi 2018 come miglior video dell’anno. Ma chi naviga compulsivamente sul web li conosce da almeno cinque anni (loro a dirla tutta sono attivi dal 2011), dall’estate del 2013 e dal Prefunerale di Luigi Virgillito: «Era il periodo dei prediciottesimi – racconta Zavvo Nicolosi, il regista del “collettivo” – cioè i video con cui i ragazzini di diciassette anni dicevano “addio” all’adolescenza per proiettarsi nell’età adulta. Noi pensammo a una parodia di quella moda, che trovavamo insulsa oltre che oscena. E così decidemmo di inventare il “prefunerale”, un saluto surreale ai vivi prima che, il giorno successivo, si passi a miglior vita. Fu una cosa divertente, anche se trovare qualcuno non scaramantico disposto a recitare nella parte del “futuro morto” non fu semplice». Il Prefunerale di Luigi Virgillito rappresenta un po’ la porta per tutto quello che ai Ground’s Oranges è capitato negli ultimi cinque anni: da una parte ha dettato le linee guida della loro estetica, con le sue riprese allucinate, le sue simmetrie grandangolari, il suo montaggio ora serratissimo ora dilatato, dall’altra finendo tra i video in vetrina di Vimeo – la piattaforma di condivisione per registi e creativi – li ha aperti al pubblico, ai cantautori emergenti e a un allora esordiente Colapesce. «Siamo partiti dal basso – continua Zavvo – anzi dal superbasso. Il vero salto lo abbiamo fatto con Colapesce (al secolo Lorenzo Urciullo, cantautore siracusano, ndr.). Grazie a lui abbiamo avuto i primi grandi numeri sulle visualizzazioni e primi riconoscimenti. Tra il 2014 e il 2015, ai tempi del suo secondo album, Egomostro, il singolo Maledetti italiani venne lanciato con un nostro videoclip, in cui ci muovevamo dietro la macchina da presa come avrebbe fatto Wes Anderson». Con Maledetti italiani – in cui con una sorta di ‘lista di morte’ alla Kill Bill un ragazzino elimina delle «immagini sacre» di politici, cantautori, poeti, giornalisti, scrittori e personaggi dello spettacolo italiani – i Ground’s Oranges vengono nominati per il premio Pivi 2015, ma arrivano al secondo posto sul podio. «Vinse il video dei Dimartino (Come una guerra la primavera, per la regia di Manuela Di Pisa, ndr.), sempre siciliani. Ma Maledetti italiani ebbe tantissimo successo». E aprì la porta a Totale, il primo singolo (e video) estratto da Infedele, nuovo lavoro per Colapesce e vero momento di svolta per il collettivo catanese: «Quando è uscito Totale, a settembre dell’anno scorso, tantissimi gruppi hanno iniziato a contattarci. I Baustelle, gli Zen Circus, Gazzelle. E questo nonostante a Roma o Milano ci siano un sacco di colleghi in giro. È più complicato che dal “continente” chiamino te, in Sicilia». Eppure è successo. Perché? «Io penso che in qualche modo – continua Zavvo – questa lontananza dai giri più grandi ci faciliti in alcune cose, mentre è un peso in altre. Essendo “fuori” da Roma o Milano conosci meno gente, hai meno possibilità di avere contatti. Alcuni artisti ti vogliono a lavorare al loro fianco, vicino, sul campo, quindi pensare di contattare dei registi dall’altra parte d’Italia è difficile. Però questo ci lascia influenzare meno dalle mode principali che nelle grandi città tendono a uniformare tutto. Ora sono tutti bloccati su un determinato genere, che noi abbiamo volutamente evitato. Cerchiamo di rendere ogni video un lavoro a sé stante, senza inserire nulla di ricorrente. Adesso i videomaker girano video zeppi di tute di acetato e scooteroni, una cosa che in realtà Romain Gavras (figlio a sua volta del regista Costa-Gavras, ndr.) aveva già “inventato” con il videoclip di Stress, dei Justice, oltre dieci anni fa. E a sua volta quell’estetica lì era figlia di un altro film francese, del 1995, La haine (in Italia, L’odio, ndr.). Noi non siamo contrari a questa estetica, ma cerchiamo di proporre un occhio fuori dal coro. E per venire a chiamare noi, che siamo fuori dai giri, devi per forza aver proposto qualcosa di diverso». Ma cos’è il “diverso” dei Ground’s Oranges? Si potrebbe sintetizzare in un’immagine molto semplice, e forse un po’ ruffiano-patriottica: la Sicilia. «La cosa che ha attirato l’occhio dei Baustelle (anche se proprio il loro video è stato girato in studio a Milano, con in mente gli “happening” degli esordienti Velvet Underground, nella Factory di Andy Warhol, ndr.), di Gazzelle o degli Zen Circus è stata la Sicilia. I paesaggi, le stranezze, le architetture che appaiono nei nostri video. In Maometto a Milano, ad esempio, di Colapesce, abbiamo ricreato la Siria e le montagne dell’Afghanistan tra Nicolosi e Centuripe. In Sospesi, sempre di Colapesce, che vede protagonisti il cantautore, l’attrice Valentina Lodovini e il “caratterista” Franco Mudanò, abbiamo trasformato i boschi sulla strada che porta all’Etna nelle foreste dei film horror italiani degli anni Settanta, genere che io adoro. Abbiamo fatto proprio come si faceva all’epoca, quando per girare uno spaghetti western andavi nelle cave spoglie e desolate dalle parti di Latina, o in Spagna, anziché negli Stati Uniti. Cerchiamo di fare il meglio con i mezzi che abbiamo a disposizione».

Con la vittoria del premio Pivi 2018 e i lavori dell’ultimo anno, i Ground’s Oranges si sono inseriti su una pista che li potrebbe portare a un’attenzione ancora più alta a livello nazionale, ma non per questo sono pronti a lavorare con chiunque: «C’è una domanda che mi faccio spessissimo: ma se Gigi D’Alessio ci chiedesse di fare un videoclip, accetteremmo? La risposta è no. Non siamo grandi fan della musica commerciale italiana classica, che comunque non è nemmeno più Laura Pausini. A Ghali diremmo di sì, ma per una Emma Marrone, o per i Negramaro… non sapremmo da dove cominciare. A me farebbe molto ridere girare un videoclip per la Dark Polo Gang, sono divertenti. Per quel che riguarda l’indie italiana all’epoca il sogno era girare un video per i Baustelle, ma quello s’è già realizzato (ride, ndr.). Adesso ci piacerebbe metterci all’opera con i Verdena, anche se per vedere un loro nuovo lavoro mi sa dovremo aspettare ancora un po’. Mi piacerebbe molto anche lavorare con Iosonouncane, lo stimo come artista. L’ondata “itpop”, quindi Calcutta o i Thegiornalisti, invece non mi fa impazzire». E puntare ancora più in alto? Far diventare Ground’s Oranges il primo lavoro di Zavvo, Riccardo, Dimitri, Jacopo e Marco? È possibile? «Ci piacerebbe, ma non ci crediamo. Siamo tutti pessimisti. Non puoi vivere di videoclip – conclude Nicolosi – e allo stesso tempo chi fa videoclip rarissimamente fa il “salto” al cinema. Capita all’estero, quello sì. In America, o in Francia. In Italia no, qui i produttori sono pronti a investire sugli youtuber – nonostante poi al botteghino facciano tutti un grande fiasco – ma non su contenuti, come i videoclip e chi ci sta dietro, che hanno molte più idee cinematografiche. Anche i più geniali, dai The Pills ai The Jackal, al cinema hanno fallito, eppure siccome sono più vicini all’umorismo fanno “il salto” sul grande schermo. Ci sono videomaker che lavorano da una vita nel settore musicale, e ancora non sono riusciti nell’impresa di trasportare la loro tecnica al servizio del cinema».

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