Che la lingua elaborata da figure di rilievo come Giacomo da Lentini e Pier delle Vigne all’interno della Scuola poetica siciliana raccoltasi intorno a Federico II di Svevia nella prima metà del XIII secolo sia stata decisiva per l’influenza esercitata su Dante, e quindi sul successivo sviluppo della nostra parlata nazionale, è abbastanza assodato. Ma che la Sicilia detenga un altro primato di precocità relativo alla poesia in volgare è, probabilmente, meno noto. Una figura, infatti, dai contorni ancora misteriosi e, a tratti, leggendari si erge all’interno della tarda cultura medievale come esempio mirabile di eleganza nello stile e valore del suo poetare. Sono molti i nomi che la identificano: da Monna Nina a Nina da Messina, fino a Nina Siciliana – identificazione più frequente nei discorsi degli studiosi – l’unica cosa certa, in questo caso, pare essere che si chiamasse, appunto, Nina. La prima donna a comporre in lingua volgare, dunque, appartiene ai confini nostrani.

«Qual sete voi, sì cara proferanza/ Che fate a me senza voi mostrare? Molto m’agenzerìa vostra parvenza/ Perché meo core podesse dichiarare» (Cosa siete voi, cara offerta che mi fate senza mostrarvi? La vostra comparsa mi rallegrerebbe molto, cosicché il mio cuore potrebbe dichiararsi). Recita così la prima quartina di uno degli unici due sonetti di Nina giunti sino a noi, compresi in una raccolta fiorentina pubblicata da Giunti nel 1527. Ma chi era questa donna che contemporanei e non ricordano come di straordinaria bellezza e di acuto ingegno, che nei suoi versi brama intensamente l’incontro col suo amato? Non sappiamo quasi nulla delle sue origini: alcuni la inquadrano come proveniente da Palermo, anche se la maggior parte degli esperti propende per Messina. E proprio la città dello Stretto, se fosse davvero il luogo natìo, potrebbe darci informazioni utili su come la nostra dama sia entrata in contatto con l’arte del poetare. Proprio di Messina, infatti, erano originari Guido e Oddo delle Colonne, personaggi di rilievo della Scuola Siciliana a cui si accennava. È possibile, pertanto, che Nina, che per cogliere la preziosità dei poeti fridericiani doveva disporre di una vasta cultura, abbia sviluppato una passione per quella poesia così raffinata e votata all’amore a tal punto da volerne ricalcare i modi. Se la sua fosse stata una semplice operazione di imitazione, però, probabilmente non saremmo qui a ricordarci ancora di lei. Cos’è, allora, che la contraddistingue, se un altro grande poeta medievale, il toscano Dante da Maiano, a cui si rivolge nella volontà di dichiararsi, si disse innamorato di lei semplicemente per mezzo dei versi che la donna componeva, senza averla mai incontrata?

Una presunta raffigurazione di Nina Siciliana.
Una presunta raffigurazione di Nina Siciliana

Nel tentativo di rielaborare i modelli con cui era entrata in contatto, Nina fu in grado di ribaltarli, aprendo ad una rivoluzione e ad una linea poetica che le sue “colleghe” italiane recepiranno pienamente solo tra il XV e il XVI secolo. Nel diventare soggetto, amante desiderosa, centro propulsore delle sue liriche, la poetessa rimetteva in discussione gli schemi dell’amore cortese, che volevano la donna come oggetto dei servigi e delle ispirazioni dell’uomo, che, pur apparentemente subordinato alla scelta dell’amata, in realtà la poneva passivamente in secondo piano. Con Nina tutto questo cambia: la donna si scopre protagonista, attiva, superiore ai tentennamenti dell’uomo nella volontà di prendere le redini della situazione. Dopo aver conosciuto i travagli psicologici degli uomini, con Nina Siciliana i più intimi sentimenti femminili trovano la loro dignità letteraria. E nonostante la sua esistenza sia più volte stata messa in discussione, e nonostante siano state avanzate altre ipotesi di poetesse a lei contemporanee che le contenderebbero il primato, i siciliani se la tengono stretta, orgogliosi del genio che ha saputo esprimere e della sua unicità. Da vera siciliana.

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