Da oltre 15 anni architetto d’interni, la polacca Joanna Bartkowiak è rimasta folgorata dopo il suo primo viaggio in Sicilia, tanto da riprendere gli studi sulla letteratura siciliana. Nel suo racconto dell’incontro con la nostra terra, la scoperta di un mondo nuovo e inimmaginabile: «Non sapevo, in aereo, cosa mi aspettasse sotto, sulla terra. Qualcosa che mi ha cambiato la vita, e me stessa per sempre».

L’isola è apparsa ai miei occhi insieme al tramonto che penetrava le nuvole. Un piccolo drappello di luci rosse disegnava nella mia immaginazione la forma del vulcano ardente. Sapevo, sentivo che lei, la Sicilia, era vicina; da qualche parte lì, sotto le nuvole in giù. Quella montagna calda mi aveva attratto per così tanto tempo. Sognavo di guardare dentro il cratere, di raggiungere la cima, di sconfiggere la mia debolezza. Perché scalare un vulcano è come combattere: È come una lotta con le capacità fisiche, la paura, il tempo, il caldo e la solitudine. Non sapevo, in aereo, cosa mi aspettasse sotto, sulla terra. Qualcosa che mi ha cambiato la vita, e me stessa per sempre.

Il 2014 fu un anno particolarmente difficile per me, per motivi personali riguardanti la mia attività professionale di progettista di interni, ho perso completamente di vista il significato di quello che faccio, e quella che è la mia vita. Ho perso anche la fede nell’amicizia, la fede nel prossimo. Sono rimasta talmente delusa e amareggiata, che ho deciso di imballare il mio zaino. La Sicilia l’ho scoperta prima, scavando dalla tomba dell’ignoranza storica. Nel mio modo polacco romantico ed esaltato, pensavo che l’Italia fosse stata unita e rinata come la Polonia, e quasi nello stesso periodo storico. Invece, capendo i fatti e la verità della conquista risorgimentale ho provato grande empatia e quasi vergogna. Ho pure capito che non importa quanto sia buono il mio italiano, non riuscirò mai capire il siciliano e, dunque, la Sicilia veramente e profondamente. Ero triste.

Il 18 ottobre 2014, dopo sole 20 ore in Sicilia, con una mia amica abbiamo raggiunto Castellammare del Golfo dove ci aspettavano due sconosciuti couchsurfers da Alcamo. Il nostro ospite, con qualche suo amico, ci ha portato quasi subito in un laghetto naturale di zolfo, nascosto nelle montagne, nel buio della notte. Quell’esperienza mi ha battezzata con la fiducia nel bene. La Sicilia mi aveva insegnato proprio questo, ad avere fiducia in me stessa, nella vita in quanto è buona, e nelle persone. A non avere paura anche laddove sembra un po’ terribile o spaventoso. Io so che le ragioni del timore sono a volte reali, ma “non ho paura”, non più.

Le mie “tre giornate in Sicilia” del primo viaggio furono a Trapani, Erice, Alcamo, Palermo e Catania. Quante volte poi ho girato la Sicilia, nemmeno mi ricordo. I colori, i sapori , i suoni del mercato del pesce e dei cantastorie, la festa di Sant’Agata con tutte le processioni prima e dopo, la Pasqua e Pasquetta a Catania, il mio quartiere popolare dove abitavo per mesi, Civita, con il suo fenomenale Teatro Coppola. La Sicilia è come il punto di riferimento, o come uno stato mentale che mi mantiene in piedi nonostante tutto. Io che ero sempre impaziente, sempre di fretta, sempre “a dieta”, sempre “diversa”, in Sicilia ho trovato tutta la pazienza inesauribile, gattopardiana.

La Piazza Teatro Massimo a Catania di notte è uno spettacolo straordinario, dove si mescolano i colori, le lingue, le culture diverse, e nessuno si meraviglia di questo carosello pazzesco. Le ragazze in minigonna e i ragazzi rasati liscio liscio. Non ci credo che non sono solo partecipante di uno spettacolo, ma della vita vera e propria. Come in un film, o come in una canzone d’amore, “si nun ti viu, mi veni di muriri”. Lo so che proprio così è nata la Sicilia: dal meglio di questi popoli venuti sull’isola da tutte le direzioni, dal nord al sud come Björn Ragnarsson o Muhammad al-Idrisi. Il caldo umano è presente dappertutto. Non ho più paura delle ferite che verranno, questo lo so. Come potrei? Sulla paura si costruiscono le case dell’isolamento, dell’alienazione, della xenofobia, e il brutto nazionalismo che sta crescendo nel mio paese. E mentre #Cataniaaccoglie, io, vergognandomi, spero che i catanesi non mi manderanno mai a quel paese…

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