«Un incantatore di serpenti, capace di ammalianti intonazioni e gesti che sembrano appartenere a un’antica alchimia», così Grasso descriveva la cifra stilistica di Turi Ferro sulle pagine de “La Sicilia”. Ma come ha preso forma il talento di uno dei grandi trascinatori-mattatori del teatro italiano, astro dello Stabile di Catania come Strehler fu del Piccolo di Milano? Quali le tappe di una carriera costellata dai ruoli più importanti della drammaturgia classica e contemporanea e ancora impressi nella memoria del pubblico? In occasione dell’anniversario della nascita dell’attore catanese, ripercorriamo insieme la storia di questo illustre padre del teatro italiano.

BUON SANGUE NON MENTE. Sebbene l’anagrafe riporti come data di nascita il 10 gennaio del 1921, in verità Salvatore Ferro venne al mondo nel dicembre del 1920. Mosse i primi passi in tenerissima età accanto al padre Guglielmo, attore della “Brigata d’arte filodrammatica” nei panni di Micheluzzo ne l’”Aria del Continente” di Martoglio. Il sacro fuoco lo pervase tanto che neanche la guerra lo fermò: allestì, di stanza in Slovenia e Croazia, spettacoli per le truppe insieme al soldato Arnoldo Foà. Recitò nelle più importanti compagnie del tempo, nel Teatro Mediterraneo, accanto a Grasso junior e Virginia Balistrieri, con il gruppo di Prosa italiana diretto da Rosso di San Secondo e nella compagnia Anselmi-Abruzzo; ma è in una Catania post-bellica e in pieno fermento che intraprese prima l’esperienza in radio col programma “Tutta la città ne parla” e poi nell’Ente teatro di Sicilia, il futuro Stabile etneo.

INCOMINCIA L’AVVENTURA.  Il gruppo, nato con l’ambizione di realizzare un Teatro in cui sicilianità e innovazione si fondessero, cominciò a muovere i primi passi sotto la guida lungimirante di Giusti. La compagnia, di cui faceva parte anche Ida Carrara, che Ferro sposerà nel giorno di San Valentino del 1951, si cimentò con produzione letteraria di Martoglio, Pirandello, Verga, Capuana per poi lasciare spazio ad autori russi e in seguito alle opere di Sciascia, Bufalino, Consolo, Buttitta e Fava. Tra uno sceneggiato RAI, un radiodramma e il lavoro in teatro, Ferro, trovò il tempo di andare a Milano per vestire i panni del mago Cotrone nei “Giganti della montagna” diretto da Strehler, tutte esperienze che lo consacreranno davanti al grande pubblico.

ATTORE E ARTISTA. Per costruire i suoi personaggi oltre ad una gestualità pregnante, a una verve carismatica, l’attore usava il trucco per stravolgersi i connotati, invecchiando o ringiovanendo a dovere. Inoltre, da attento osservatore qual era, cercava per lo più di riproporre espressioni che avevo visto sul volto di persone comuni e che gli permettevano di cambiare pelle come a un camaleonte. La voglia di sperimentarsi in cose nuove gli fece adattare in dialetto siciliano alcuni delle opere più note di Moliere facendolo approdare in breve pure alla regia. Anche le cronache giornalistiche del tempo ne elogiavano le qualità, Longatti su “La Provincia” scriveva «…recita non solo con le inflessioni verbali, ma con i gesti, il roteare degli occhi, lo strascicare dei piedi, senza mai alzare il volume della voce né abusare delle coloriture dialettali, preciso, realistico, comunicativo», cui fa eco sulla “Gazzetta del Sud” la recensione di Michele La Spina: «sornione e acuto come sempre e come sempre padrone della scena». Perfino negli ultimi anni della sua vita non si adagiò su testi di repertorio raccogliendo la sfida d’interpretare ruoli nuovi, come avvenne per il “Il visitatore” di Eric Emmanuel Schmitt, inedito sui palcoscenici italiani, in cui interpretava un somigliante Freud in coppia con un giovanissimo Kim Rossi Stuart. Un esempio di fierezza siciliana e di dedizione al lavoro, che ne hanno fatto uno degli attori più straordinari in Italia. Come recita il detto: nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore degli altri, Turi Ferro in quello dei suoi concittadini c’è sempre stato e ci rimarrà per sempre come la più grande leggenda del teatro.

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