80 anni di mistero, 80 anni di una scomparsa su cui si è scritto tanto senza giungere a una soluzione definitiva. Ma ciò che importa, e che importò anche a Sciascia, guardando alla storia di questa eccellenza tutta isolana, è la capacità di comprendere ciò che gli altri nemmeno pensavano, di prevedere il disastro della Storia prima ancora che questa accadesse, di scegliere con coraggio la diversità. Alla maniera siciliana

Si dice che il suo fosse un intelletto inarrivabile, paragonato da un’eccellenza come Enrico Fermi a quello di Galilei e Newton; si dice che le sue intuizioni fossero talmente fulminanti che, a prescindere da ciò che era intento a fare, necessitasse di scriverle sul primo supporto utile, come quelle volte in cui, sul bus, utilizzava i pacchetti delle sigarette. Pacchetti che poi, il più delle volte, finiva per gettare nell’immondizia. Su di lui si dissero, e si continuano a dire, un mucchio di cose, si proposero svariate ipotesi – molte dettate da una fervida fantasia – ma solo un dato è per noi certo: 80 anni fa, nel marzo 1938, lo scienziato catanese Ettore Majorana fece perdere definitivamente le sue tracce. Da allora, il mistero sulla sua persona e sulla sua figura di studioso non ha cessato di restare alimentato, sia attraverso le indagini che seguirono la sparizione, sia attraverso il racconto di chi gli fu vicino, come il padre disperato, la sorella o i celebri “Ragazzi di Via Panisperna”, il gruppo di brillanti e giovani scienziati che, raccoltisi proprio attorno a Fermi, diedero un contributo decisivo allo studio dei neutroni lenti. E, malaugaratamente, anche all’avvio dello sfruttamento dell’energia nucleare.

Ma c’è un racconto, in mezzo ai tanti, che ha consegnato il genio siciliano alla nostra memoria e alla nostra curiosità. Uscì nel 1975, inizialmente sul quotidiano La Stampa, si intitolava, eloquentemente, La scomparsa di Majorana ed entrava, con un’intensità irripetibile, nei meandri più segreti del travaglio dello scienziato. A scriverlo fu Leonardo Sciascia, uno che di indagini e di scoperte della verità se ne intendeva. «Senza saperlo – scrive l’autore di Racalmuto – senza averne coscienza […] Majorana tenta di non fare quel che deve fare, quel che non può non fare. Con le loro esortazioni e col loro esempio, sono Fermi e i Ragazzi di via Panisperna che lo costringono a fare qualcosa». Ma lui, precisa ancora Sciascia, «oscuratamente sente in ogni cosa che scopre, in ogni cosa che rivela, un avvicinarsi alla morte». Questo, dunque, il punto focale di tutta la vicenda: descritto come spesso accigliato, pensieroso, profondamente restio a svelare i motivi di una cupezza che lo accompagnava costantemente, Majorana è stato capace, in virtù di un’intelligenza senza pari che Sciascia paragona a Mozart o a Pascal ma anche di una spiccata sensibilità, di scorgere i mali del futuro, di affacciarsi su un abisso, su un pozzo quasi senza fondo. Più intuiva, più disvelava, più una bruciante sensazione di pericolo, di imperdonabile colpa lo avvolgeva. La colpa di un progresso sbagliato, con cui l’umanità stava per sancire la sua distruzione.

Che Majorana si sia realmente tolto la vita, che abbia finto – come alcuni elementi avrebbero potuto suggerire agli inquirenti – per sfuggire al male che lui stesso sentiva di aver contribuito a nutrire, che si sia ritirato in un convento fino alla fine dei suoi giorni, a noi importa relativamente. Ciò che vale la pena sottolineare è il coraggio della scelta, dell’abbandono di tutto ciò che di rilevante c’era nella sua vita: carriera, affetti, stabilità. Quanto vi era di siciliano in tutto ciò? Forse più quanto crediamo. Questa eccellenza isolana che, elevato a potenza, come tutti i siciliani mostrava profonda percezione e giustificato timore per l’avvenire, come il pacchetto su cui abbozzava ciò che nessuno vedeva, si è gettata tra le braccia dell’incertezza pur di non vedere realizzate le sue paure. La sua sofferta profezia sulla nascita della bomba atomica e sulla disperazione del domani – che è già oggi – viene dal suo genio, senza dubbio, ma anche dalla innata capacità nostrana di intercettare la mutevolezza, le storture del tempo che avanza e travolge ciò che sta sul suo cammino. Di Majorana, oltre alle scoperte compiute che solo oggi la fisica riesce ad interpretare, ci rimane il coraggio di fare la cosa giusta, di sottrarsi ad obblighi immorali, di nascondersi tra le pieghe della Storia piuttosto che accettare di scriverla col sangue.

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