L’attore napoletano: «Questa serie è un unicum nel panorama italiano perché siamo un pubblico disabituato a digerire prodotti in lingua originale»

Qual è la vera chiave del successo di “Gomorra”? Ne abbiamo parlato con Marco D’Amore, attore protagonista dell’amata serie diretta da Stefano Sollima e ispirata all’omonimo libro di Roberto Saviano. Il trentacinquenne napoletano – nominato come “miglior attore in una serie tv” al “Festival della televisione di Monte Carlo” del 2015 – ha recentemente incontrato il pubblico di “Etna Comics” a Catania fra battute simpatiche, spunti di riflessione e omaggi alla nostra terra.

Come sei entrato nel cast di Gomorra?
«Credo di essere stato l’unico attore campano a non aver avanzato candidature. Il caso ha voluto che il regista Stefano Sollima avesse apprezzato un film che nel 2009 feci con Claudio Cupellini, dal titolo “Una vita tranquilla”, da qui mi coinvolse nel progetto. Io gli dissi: “Stefàn, ma cu chesta faccia ra bambocciòn, comm facciò a fa’ nu criminale?” Man mano che il progetto prendeva forma, sentivo che stavamo lavorando a qualcosa d’importante».

«Credo di essere stato l’unico attore campano a non aver avanzato candidature per il casting. Il regista mi notò in un film che feci con Claudio Cupellini»

A cosa pensi sia dovuto il successo della serie?
«Alla profondità della scrittura, alla capacità interpretativa e registica, alla professionalità dei direttori della fotografia e dei tecnici del suono. Ma soprattutto penso che “Gomorra” riesca a parlare all’intelligenza di chi osserva, ad emozionare e a far riflettere anche quando finisce la puntata. Credo che la serie funga da spartiacque fra un prima, in cui le produzioni pensavano soltanto alla fama, e un dopo “Gomorra”, in cui gli attori e la storia che interpretano hanno a cuore l’intelligenza del pubblico».

Che ruolo ha il dialetto in questo?
«Il napoletano è una lingua a tutti gli effetti e per noi rappresenta l’espressione più intima. Anche adesso che mi esprimo con voi in italiano pongo un filtro rispetto alle mie emozioni. Il dialetto, invece mi consente di esprimere liberamente l’emotività. “Gomorra” è una serie andata in onda in prima serata con i sottotitoli: in questo rappresenta un unicum nel panorama italiano perché siamo un pubblico disabituato a digerire prodotti in lingua originale».

Marco D’Amore a Etna Comics (foto G.Romeo)

Com’è stato interpretare il ruolo di Ciro?
«Questo personaggio è un regalo che la vita mi ha fatto. Interpretarlo per me è una sorta di addestramento col più cattivo dei personal trainer che si possano incontrare: l’allenamento cambia tutti i giorni e si fa sempre più duro, non ti puoi fermare né sottovalutare».

Credi possa esserci un lieto fine per lui?
«Come essere umano spero che ogni persona, con qualsiasi scelta sia alle prese, possa sempre ritrovare un barlume di umanità e di lucidità e trovare una propria redenzione. Rispetto a Ciro, tuttavia, non penso possa esserci un lieto fine: ci siamo prefissati di raccontare una disumanità senza infingimenti e maschere e questo realismo è uno dei meriti della serie. Per noi è stato difficile metterci in quei panni. A mio avviso “Gomorra” è un affresco incredibile su quanto la natura umana possa spingersi negli abissi della malvagità».

«Gomorra è un affresco incredibile su quanto la natura umana possa spingersi negli abissi della malvagità»

E la quarta stagione?
«Non so dirti nulla, a parte che stiamo finendo di girare la terza, dopo nove mesi di duro lavoro: se avessi avuto i capelli mi sarebbero caduti, ma in questo ho giocato d’anticipo».

Che rapporto hai con Roberto Saviano?
«Frequentavamo lo stesso liceo, lui era al quinto anno, io al primo. Il progetto ci ha dato la possibilità di diventare amici e passare molto tempo insieme. In occasione della prima stagione sono stato un mese da lui a New York, dove abbiamo realizzato uno speciale sulla serie. Da allora siamo sempre in contatto, lui sa che oltre a godere della mia profonda stima e riconoscenza, può contare fermamente sulla mia amicizia. Gli auguro tranquillità, che è la prima cosa di cui ha bisogno».

Che legame hai con la Sicilia?
«È proprio erotico. Questa terra ha sempre suscitato in me interessi letterali e politici. E poi il destino ha voluto che debuttassi qui con Tony Servillo e che la mia compagna fosse catanese: si chiama Maiorana, come Ettore, il grande fisico. Ci sono dunque una serie di corti circuiti che mi legano alla vostra terra e me la fanno amare ancora di più. Non mi stanco di dire viva la Sicilia».

 

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email