Filippo Luna è il protagonista del monologo di Rosario Palazzolo, rappresentato al Centro Zo all’interno della rassegna “Altrescene”, nel quale si racconta la spietatezza umana e il distorto rapporto con la televisione dei giorni nostri

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]I[/dropcap] padroni dei media si sforzano sempre di dare al pubblico ciò che esso vuole, perché sentono che il loro potere è nel medium e non nel messaggio o nel programma». Con una lucida analisi Marshall McLuhan aveva già inquadrato la direzione intrapresa dalla società di massa. Un viaggio a senso unico verso un punto di non ritorno che rintracciamo nella verbosa drammaturgia di Rosario Palazzolo. Dopo “Lo Zompo” e “Mari/age”, infatti, “La Veglia”, prodotto dal teatro Biondo di Palermo, è l’ultimo atto della trilogia “Santa Samantha Vs. Sciagura in tre mosse”. La storia racconta di una madre, Carmela, privata sin dalla nascita della figlia Samantha per via del dono di guarigione che la bambina possiede e che alla fine la spingerà al suicidio. Questa madre è rimasta inerte per ventuno anni, avvolta in un silenzio che il tragico evento luttuoso ha trasformato in un flusso continuo di parole urlate nelle trasmissioni televisive. Ingabbiata nel meccanismo di un televoto che deciderà chi, fra lei e le zie che l’hanno cresciuta nell’aura mistica costringendola a dare guarigione agli ammalati, dovrà seppellire la salma della ragazza.

THE TRUTH SHOW. Ad accoglierci in sala sono le urla di Carmela stesa su un lettino: capiremo solo dopo che la donna sta simulando il parto della figlia. È curata nel vestire e qui un plauso va ai pratici ma ricercati costumi di Daniela Cernigliaro, anche se si esprime per lo più con malapropismi che suscitano ilarità e rendono ancora più grottesco l’insieme. Il suo tempo è scandito dal gong della diretta, di quella televisione verità a cui sembra particolarmente legata e di cui diventerà inutile ingranaggio. La crudezza della vita si mescola alla finzione, anche se a un certo punto sorge il dubbio che a muoverla non sia tanto il premio in palio quanto l’autocompiacimento. Samantha e Carmela rappresentano il sacrificio umano: una fagocitata dalla società per la sua virtù, l’altra cannibalizzata dal mezzo televisivo, in cui la brama di sangue dei telespettatori è celata dietro a un pulsante. Feticci di un mondo in cui contano solo il successo apparente, lo share e le vendite: la madre costretta a interpretare il suicidio della figlia pur di fare il boom di ascolti mentre la ragazza, abbandonata la medaglietta da santa e indossata la coccarda di miglior venditrice Tupperware, diventa assoggettata ai meccanismi del marketing prima di porre fine alla sua vita.

La veglia, foto di scena dello spettacolo di Filippo Luna
Una foto di scena dello spettacolo

“RECITO IO” OVVERO ME STESSA. Filippo Luna è un fuoriclasse che riesce sempre a infondere un alito di eternità alle creature teatrali che porta in scena. Carmela, nutrita dal background familiare dell’attore palermitano, è costruita attraverso tic e atteggiamenti convulsi: si sistema la spallina del reggiseno, controlla i bottoni della camicia, giocherella con la collana e si muove nervosamente sui tacchi alti. Ha un pudore fisico smisurato, tanto da rifiutare di spogliarsi davanti al pubblico della trasmissione che è formato dal pubblico in sala, tuttavia non presenta alcuna remora a raccontare la sua travagliata vicenda a una platea televisiva collegata in mondovisione. La sua storia è quella che alcuni giornali scandalistici titolerebbero come “Il dramma di Carmela” mentre le signore della televisione generalista farebbero a gara pur di averla ospite nei propri salotti, salvo poi imbeccarla o peggio ancora lasciarla in balia degli opinionisti. Controllata da un regista che la manovra sulla scena e che lei chiama il Piero Angelo, in omaggio al noto divulgatore Rai di cui è appassionata telespettatrice, Carmela riesce a entrare sin da subito in empatia con il pubblico in sala, il quale non ha il telecomando ma non accenna alcuna reazione, come denuncerà la stessa Luna, di fronte al gesto estremo della donna. Anche noi dunque siamo complici di questo scempio? La risposta inequivocabilmente è sì. Complici ogni qual volta si porta avanti un’ingiustizia che resta impunita, complici quando il voyeurismo offusca la nostra umanità e il dolore personale diventa alla mercé di tutti.

LA VERITÀ È ESAGERATA DI SUO. La regia di Palazzolo strizza chiaramente l’occhio al cinema non solo per i titoli di coda ma anche perché riporta alla memoria film come “The Truman Show” diretto da Peter Wier, anche se qui la protagonista è consapevole di trovarsi di fronte alle telecamere, e “Dogville” di Lars von Trier, omaggiato dalla scenografia di Luca Mannino il quale ha delimitato il palcoscenico con il nastro adesivo creando delle sagome. Funzionale poi la cassa bianca smontabile e ricomponibile dall’attore che riproduce ora un letto, ora un salotto tv ora un banco di lavoro. La simulazione e il rapporto con gli spettatori sono esaltati dalla dimensione patetica delle intense musiche di Francesco Di Fiore, che ancora una volta ricorda la funzione emotiva usata nella cinematografia e quella frenetica delle luci di Alice Colla, attente al colore soprattutto durante gli on air. Gandolfo Schimmenti firma invece i video preregistrati e proiettati sullo schermo in cui, come dentro a un confessionale, Carmela palese le sue intenzioni. Un monologo viscerale in cui si mostrano le debolezze umane, filtrate attraverso l’occhio del grande fratello e con un finale crudo, anche se anticipato, nel quale si svela il vero senso del titolo.

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