Lo scrittore, reduce dal successo della sua prima serie TV andata in onda su Sky Atlantic si racconta in occasione della rassegna “La Ginestra sul Cortile”: «Il cinema è un lavoro di squadra e mi ha riportato tra la gente. Del resto questa storia non poteva essere raccontata in altro modo se non con le immagini: il sangue è una cosa che bisogna illuminare»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]L[/dropcap]a domanda da cui ha avuto origine questa storia è stata: come mi troverei io, con la mia fede e la mia tradizione, di fronte a un fatto inspiegabile che fosse la prova dell’esistenza di Dio? Non avendo una risposta, ho pensato che sarebbe stato costruito dei personaggi in modo che ciascuno di essi potesse dare una propria prospettiva». Niccolò Ammaniti parla così della nascita de “Il miracolo”, la sua prima serie TV, recentemente andata in onda su Sky Atlantic, che racconta del ritrovamento di una statuetta della Madonna che piange sangue durante un’operazione di polizia in casa di un boss della ‘ndrangheta.
Incontrato in occasione del primo appuntamento della rassegna “La ginestra sul cortile”, che lo ha visto intervistato insieme alla sceneggiatrice Francesca Manieri da Giuseppe Lorenti nella cornice verde di Radicepura a Giarre, lo scrittore ci ha raccontato di questo suo ultimo lavoro e del suo mondo di storie e inchiostro.

A differenza di quanto accaduto in passato, questa storia non è diventata un romanzo, ma una serie TV. Cosa ha originato questa scelta?
«Penso che, vista la natura particolare della vicenda, fosse il mezzo più giusto. Il sangue è una cosa che bisogna vedere, che bisogna illuminare. La narrazione non è sufficiente a farcela vedere e quindi ho detto: proviamoci».


Francesca Manieri, Niccolò Ammaniti e Giuseppe Lorenti a Radicepura
(foto Federico Coco)

Uno scrittore è solitamente abituato a lavorare da solo. Com’è stato, invece, trovarsi impegnato in un lavoro corale?
«Chiaramente una serie TV si fa con il lavoro di tante persone. Ciascuno, con la propria specializzazione, contribuisce a creare una storia che viene orchestrata da un regista. È stato molto bello e mi ha fatto bene perché tendenzialmente avevo preso la via della solitudine e avevo bisogno di stare in mezzo alla gente».

Quello delle serie TV è un linguaggio che in Italia, grazie anche all’impegno di persone come lei, sta raggiungendo una sua maturità. Come ne valuta, in questo senso, lo stato dell’arte?
«Ho come la sensazione che sia arrivato al suo apice. Canali come Netflix producono moltissima serialità che se non è moderata, rischia di diventare ridondante. Non escluderei in futuro un ritorno alla “formula” cinema».

A proposito di cinema. Da alcuni suoi libri sono stati tratti film di grande successo, come Io Non ho paura diretto da Gabriele Salvadores. In molti, tuttavia, ritengono che gli adattamenti cinematografici siano sempre meno belli del romanzo da cui sono tratti. Lei come la pensa a riguardo?
«Credo che non si possano fare delle gerarchie. Trovo che la letteratura abbia una forza in più perché non è definita completamente dallo scrittore, ma è legata anche all’immaginazione del lettore. Il cinema, in questo senso, è più completo, ma forse proprio per questo meno interessante. In ogni caso, al di là della forma di una narrazione, l’importante è che questa appassioni chi ne fruisce».

Sebbene uno scrittore possa immaginare le cose più impensabili, logicamente una produzione audiovisiva ha dei limiti. Come ha vissuto questa condizione lavorando a “Il Miracolo”?
«In ogni produzione s’incontrano continuamente degli ostacoli che ti costringono a riadattare ciò che avevi pensato. Tuttavia questo, che è un problema, può divenire una chiave creativa interessante. In questo senso mi sono trovato a lavorare con dei produttori che quando hanno cambiato delle cose, hanno saputo stimolarmi affinché trovassi delle alternative che funzionassero altrettanto bene».

Nicolò Ammaniti e la Sicilia. Cosa rende speciale questo binomio?
«Con l’isola ho un ottimo rapporto. Vi ho ambientato il mio ultimo romanzo, Anna, e se potessi vorrei venirci a vivere. Credo sia un piccolo continente che contiene tutto, ma in una maniera sempre aggraziata e gentile».

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