La serata conclusiva della “Settimana Musicale Agatina”, promossa dal Coro Lirico Siciliano, vede protagonisti Marco Frisina con le sue composizioni, l’attore Bruno Torrisi che ha rievocato, con una sentita performance, l’agiografia sofferente della Beata

Una delle iscrizioni che sovrasta la volta della Badia di Sant’Agata recita: “Gratias tibi ago qui me fecisti vincere tormenta carnificum”, una strofa che ritroviamo nell’inno intonato dalle monache di clausura al passaggio del fercolo, la mattina del 6 febbraio, poco prima del rientro in Cattedrale. È in questo scenario intriso di bellezza e misticismo che ha avuto luogo l’appuntamento conclusivo della “Settimana Musicale Agatina” organizzata dal Coro Lirico Siciliano, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Catania e la Monumentale Chiesa dedicata alla Beata. Il concerto ha visto la partecipazione di un’ospite d’eccezione, Monsignor Marco Frisina, compositore e rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere che per l’occasione ha composto un Inno in onore di Sant’Aituzza, eseguito in apertura di serata, dal titolo “Vergine buona” nel quale si riprende il significato del nome in greco della martire, esaltandone il valore della fede e dell’amore per Cristo. Un’opera in cui lo stile erudito si sposa alla perfezione con la conoscenza della materia musicale, frutto di uno studio attento.

L’ATTUALITÀ DEL CLASSICO. Uno spettacolo all’insegna della musica ma non solo, in cui l’intensa interpretazione di Bruno Torrisi, che si è alternato alle performance di Coro e Orchestra attraverso alcuni brani curati da Daniela Cori, ha rievocato con le parole le atroci sofferenze subite dalla giovane. L’impronta musicale di Frisina è presente non solo nella preghiera alla Vergine ma anche nei restanti brani maturati attorno al verbo di San Paolo, Santa Caterina da Siena e San Giovanni della Croce. Centrali diventano anche un passo tratto dal Cantico dei Cantici, “Vieni dal Libano”, uno sulla crocifissione di Pietro e “La via dei martiri”, in cui la gloria si tramuta in una marcia trionfante. Un messaggio attualizzato in cui la solennità del latino, usato per il “Te deum laudamus” dalla forte impronta gregoriana, lascia spazio alla lingua italiana al fine di raggiungere e lasciarsi cogliere pienamente dalla platea. Lo stile è un connubio fra classico e contemporaneo per la vivacità nella struttura che ricorda Haydn e per il ricorso al contrappunto e al canone, ma che si tinge di una modernità unica sfiorando generi come il musical o le colonne sonore, di cui il Monsignore è autore fertile. Siamo di fronte a brani sacri dal valore sociale inclusivo e funzionali alla missione evangelica, testimoniati da una presenza di pubblico numeroso e di tutte le età.

Monsignore Marco Frisina
Monsignore Marco Frisina (foto S. Trigilio)

CANTO E PREGHIERA. A rendere unico l’evento è la direzione dello stesso autore, impostata su un sentire profondo ed emotivo e su una grande intesa sia con il Coro Lirico Siciliano, ben istruito dal Maestro Francesco Costa che in quest’occasione ha affidato i suoi Artisti a Frisina, sia con l’Orchestra Filarmonica Catanese, che si è distinta per precisione e pulizia di suono. Lodi più che meritate a giudicare dalla complessità dei brani ma soprattutto dall’acustica porosa della Badia, tutt’altro che benevola per cantanti e musicisti. D’altra parte il Coro Lirico rappresenta l’eccellenza siciliana nella musica ed è riuscito nel tempo a trovare la giusta e meritata collocazione, non solo in Italia ma anche all’estero, facendo della Cina la sua seconda patria. Fin dalle prime battute emergono la compattezza e la corposità delle voci femminili, alle quali si aggiunge il ben plasmato settore maschile. A completamento di un così sfarzoso quadro intessuto di ricchezza cromatica e virtuosismi si pongono le voci soliste di Piera Puglisi e di Alberto Maria Munafò. Il soprano ha instillato in “Fiamma viva d’amore” un sentimento di supplica ripreso poi in “O amore ineffabile”, in entrambi è prevalso un’intensa drammaticità ma anche un’asperità negli acuti. L’equilibrio si è raggiunto nei passaggi a due voci come nel brano “Non sono più io che vivo”, grazie alla rotondità del suono sfoggiata dal controtenore, che come sempre offre agli ascoltatori prestazioni di alto valore grazie a una vocalità unica, ricca di armonici e di un colore brillante; stemperando la durezza di un suono così metallico. La bravura dell’Orchestra in cui gli ottoni e i legni hanno restituito atmosfere trionfanti, ha permesso di illustrare al meglio la natura ibrida della partitura, dall’attacco deciso fino all’appassionato finale; sfociando in un tripudio di applausi con annessa standing ovation per il lavoro di fino compiuto da esecutori, interpreti sotto l’autorevole bacchetta del compositore. Alla richiesta esplicita di un bis è seguita una doppia esecuzione, come sempre di pregio incommensurabile, la degna conclusione di un concerto che speriamo di poter riascoltare al più presto.

Da sinistra: Bruno Torrisi, Alberto Maria Munafò e Piera Puglisi (foto S. Trigilio)

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