Martedì il calendario prevede un giorno cerchiato di rosso, ma non per tutti sarà festa. Eppure, esseri umani, viviamo nel medesimo spazio: quanto ci riguardano le festività degli altri? Con l’aiuto di Sciascia e Verga, un tuffo sul perché, nella nostra tradizione, il 25 dicembre è sempre velato di una sottile malinconia

Le luminarie sparse per le città cominciano ad emanare un luccichio sempre crescente. Le strade, percorse da un freddo pungente, si riempiono di odori e melodie inconfondibili che annunciano l’imminente avvento del Natale. Che in Sicilia, però, sembra assumere caratteri peculiari. In gran parte delle nostre località, ad esempio, uno dei simboli della ricorrenza dicembrina, la neve, non farà capolino tra i festeggiamenti. E che dire dei canti natalizi? Quelli siciliani, in gran parte intonati dagli zampognari, sono spesso venati di una sfumatura malinconica, nostalgica, come se il Natale, oltre che a farci apprezzare ciò che davvero conta, servisse a ricordarci che un senso di mancanza, di imperfezione ci accompagna lungo i giorni lieti di fine anno. In effetti, a ben guardare, la produzione letteraria dei nostri scrittori non ha mai accolto con troppo entusiasmo la tematica natalizia. Forse perché, in quanto isolani, siamo propensi a muoverci come degli abili equilibristi, in bilico tra gioia del momento e paura della fine della festa, o forse perché, mentre molti si lasciano rapire dalla giostra delle celebrazioni, siamo consapevoli che qualcuno, su quella giostra, non riuscirà a salirci.

Accade proprio questo ai Malavoglia verghiani, che, al contrario dell’intero paese intento ad ultimare i preparativi vestendosi a festa tra suoni cordiali e luci sfavillanti, rimangono a margine della ritualità collettiva, con «la statua del Buon Pastore che rimaneva all’oscuro». Un contrasto evidente fin dall’opposizione cromatica tra l’atmosfera natalizia e la cupezza degli ambienti domestici della famiglia di pescatori, troppo preoccupati dagli stenti quotidiani, troppo impegnati a fare avanti e indietro dalla casa di Turi Zuppiddu per implorarlo di riparare la loro barca, per godere di ogni possibile serenità. Ma se per i personaggi dediti al mare il Natale non ha volto sorridente, nemmeno i ragazzi sciasciani di Le parrocchie di Regalpetra – località associata alle spaventose profondità delle miniere – se la passano poi tanto meglio. Invitati a redigere una pagina di diario per raccontare le loro festività, un quadro desolante – scrive Sciascia – emerge dalle loro righe. Mentre alcuni illustrano le grandi mangiate compiute, infatti, ragazzini privati della loro minima paghetta da genitori alcolizzati, giovani che non si radunano per la classica messa, studenti che coi pochi risparmi messi da parte comprano penne e quaderni per continuare a studiare ci rammentano che anche la patina festiva più abbellita può celare la sofferenza umana. Come scrisse Sciascia a proposito di questi piccoli ma significativi episodi, «mai la miseria mi è apparsa in tutta la sua essenza di cieca e maligna bestialità». Cosa resta a chi ha conosciuto il lato tragico della festa natalizia? La gioia, la mattina successiva, di trovare un po’d’acqua calda per lavarsi.

Mercatini di Natale ad Erice
Mercatini di Natale ad Erice

Può l’atmosfera ovattata del Natale convivere con il degrado che spinge gli uomini sull’orlo del baratro? E soprattutto, se questa dualità si realizza nella vita di tutti i giorni, può esistere la convinzione che questo sia indipendente, slegato dalle nostre azioni? Ancora oggi, alle soglie di un altro 25 dicembre, le scottanti pagine dei nostri autori puntano il dito su chi, tra una vacanza costosa e una riunione familiare in grande stile, si dimentica dei tanti Malavoglia che, all’ombra di candele prive di fiammelle, aspettano di vivere un giorno in più per ritrovare la speranza; dei giovani senza meta e senza futuro aggrappati a una penna come chiave per la libertà agognata; di tutti quelli che, martedì, cercheranno conforto negli occhi accoglienti degli altri. Il 25 dicembre è rosso sul calendario, ma non sarà Natale per tutti. Ma il cielo è lo stesso, quello sì, per tutti: facciamo in modo che ognuno viva il suo spazio in serenità. Come fosse sempre Natale.

Con questo auspicio, BUONE FESTE A TUTTI VOI!

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