Un progetto che ha visto i ragazzi recensire gli spettacoli andati in scena al teatro catanese, di assistere gratuitamente ai debutti di un’intera stagione, di vedere in scena grandi interpreti e di poter porre, tramite intervista telefonica, dubbi e domande sullo spettacolo direttamente agli attori o al regista

Quando mi hanno proposto di fare la tutor nel progetto di alternanza scuola-lavoro Piccoli critici crescono non ho potuto dire di no. Innanzitutto perché mi ha sempre attirato l’idea di lavorare con i ragazzi, poi perché mi avrebbero assegnato una classe del Cutelli, lo stesso mitico liceo classico dove mi sono diplomata io. Che voglia di trascorrere qualche pomeriggio tra quelle mura, dove ancora campeggiano le stesse dediche amorose di dieci anni fa insieme a nuove dichiarazioni di amicizia e ai classici insulti ai professori.

Come in una storta di macchina del tempo, quindi, sono tornata in classe per scrivere insieme agli studenti della I E – e alla loro insegnate di italiano, Loredana Pitino – le recensioni degli spettacoli andati in scena al teatro Stabile di Catania. All’inizio, lo confesso, ero emozionata e preoccupata. Come avrei fatto a gestire trenta sedicenni? Come me la sarei cavata se mi avessero fatto domande a cui non sapevo rispondere?

Quando li ho incontrati la prima volta è scattata subito l’immedesimazione, a cui è seguito automaticamente l’esame di coscienza su come eravamo io e i miei compagni di classe – neanche troppo tempo fa – sui banchi di scuola, quando ci toccava stare seduti per ore ad ascoltare questo o quel relatore parlare di svariati argomenti. Distratti – nonostante non avessimo ancora Facebook nel cellulare e forse Instagram neanche esisteva – concentrati solo sui nostri problemi adolescenziali, alle prese con le prime cotte, con le discussioni con le amiche, con cosa fare il sabato sera o con chi andare in piazza Pilo all’uscita di scuola.

E anche i miei ragazzi sono così. Parlano, ridono, scherzano, ascoltano la musica dallo smartphone, messaggiano come se non ci fosse un domani, arrivano in ritardo. E anche se qualcuno a teatro, durante la prima degli spettacoli, forse dormiva, guardava la partita di calcio o pensava ai fatti suoi, e anche se il giorno dopo in quelle tre di laboratorio ore facevano caciara, ancora non mi spiego come riuscissero, alla fine, a consegnarmi recensioni e riflessioni complesse, ben costruite e strutturate, con riferimenti a eventi di attualità o a fatti personali. Diventando sempre più veloci e sempre più critici.

«Quando ci hanno comunicato che avremmo fatto un progetto di alternanza scuola-lavoro in collaborazione con un teatro sono stato molto contento, perché mio nonno era un attore e mi ha trasmesso la passione per il mondo del teatro, del cinema e dello spettacolo», racconta Ettore Sapienza, che sogna di diventare regista, nonostante studi da tanti anni violino e lo stuzzica anche l’idea di iscriversi al Conservatorio. «Non andavo regolarmente a teatro – continua – mi è capitato di vedere qualche opera lirica, ma ora penso di tornarci magari per spettacoli di storia, epica o fantasy». Anche se Ettore si aspettava un tipo di rassegna più in linea con il programma scolastico – magari Shakespeare o qualche autore rinascimentale – è convinto che sia stata una bella esperienza, perché «ogni volta che vai a teatro – dice – accresci il tuo bagaglio culturale».

«È stato senza dubbio emozionante e formativo», commenta Alice Falsaperla, a cui era già capitato di andare a teatro con la famiglia. «Sicuramente ci tornerò, il teatro mi piace anche se è diverso dal cinema, forse perché sin da quando ero piccola mia mamma mi ha spinto a frequentarlo. E grazie a questa rassegna – conclude Alice, futuro avvocato o magistrato – mi sono resa conto che in alcuni spettacoli c’è ancora quella funziona catartica dei tempi dei Greci, visto che alcuni argomenti trattati mi hanno toccata in particolar modo».

Così come è successo a Giulia Bonsignore, forse la più scettica del gruppo, che vorrebbe diventare chirurgo plastico. «Qualche spettacolo più interessante c’è stato, anche se alcuni sono risultati ostici». Per esempio Una delle ultime sere di Carnovale, dove il dialetto goldoniano costringeva a restare concentratissimi per non perdersi neanche un passaggio. «Non avendolo compreso appieno il giorno dopo ho avuto qualche difficoltà nello scrivere la recensione – spiega Giulia. Che aggiunge: Non so se mi ricapiterà di andare a teatro, ma ho capito che serve a formare la persona e spingerla alla riflessione, e a volte capita di tornare a casa turbati. L’incontro commovente tra genitori e figlio in Un momento difficile mi è servito per riflettere sul rapporto che ho con mio padre».

«L’approccio al teatro e alle messe in scena sicuramente è cambiato – aggiunge Roberta Solarino – così come il pensiero critico sugli spettacoli. Anche se resto sempre dell’idea di voler studiare Matematica o Ingegneria».

E anche se alla fine, probabilmente, nessuno di loro vorrà diventare un critico teatrale – ma è ancora troppo presto per dirlo – resterà l’esperienza, l’opportunità di assistere gratuitamente ai debutti di un’intera stagione teatrale, di vedere in scena grandi interpreti e di poter porre, tramite intervista telefonica, dubbi e domande sullo spettacolo direttamente agli attori o al regista. Ed ecco come dopo cinque mesi i piccoli critici, dunque, sono diventati grandi.

 

 

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