Sarà in scena fino al 7 aprile la rivisitazione teatrale del romanzo di de Laclos, nella versione ideata dalla coppia Bucci e Sgrosso

Era il 1999 quando Ryan Philippe nei panni di Sebastian Valmont, con l’aria da bello e dannato alla guida della sua Jaguar del ‘56, mandava in visibilio le adolescenti di allora. “Cruel Intentions”, ispirato a “Le relazioni pericolose” di de Laclos, fu un vero caso cinematografico non solo perché segnò la fine dei film adolescenziali, come riportato di recente su «El Paìs» in occasione del 20° anniversario della pellicola, ma perché riuscì a raccontare sul grande schermo e senza filtri, questioni scottanti come il sesso, la droga e il potere, rivolgendosi principalmente a un pubblico teen. Fonte inesauribile per cinema e teatro, il punto di forza dell’opera di de Laclos è probabilmente la capacità di indagare gli aspetti più oscuri dell’animo umano, incarnati alla perfezione dalla crudele marchesa di Merteuil e dal visconte di Valmont. Fino al 7 aprile, lo Stabile di Catania, ne ospiterà l’elaborazione drammaturgica firmata da Elena Bucci e Marco Sgrosso, Le Belle Bandiere, in una co-produzione con il Centro Teatrale Bresciano.

LETTERE. Il romanzo epistolare datato 1782 e firmato dalla penna del generale e scrittore Pierre Ambroise Choderlos de Laclos, torna alla ribalta con un intrigante meccanismo narrativo e registico, curato dalla stessa Bucci con il supporto di Sgrosso, entrambi anche protagonisti sulla scena. Ad affiancare i due Gaetano Colella, che con straordinaria destrezza interpreta l’autore e le numerose figure presenti nell’opera: da Cécil de Volanges a sua madre, da madame De Rosemonde al cavaliere Danceny. Una visione in cui il testo ritrova la sua centralità e l’ambientazione “rivoluzionaria”, citata nell’incipit e nell’explicit soprattutto, ci viene restituita in parte dalla ”Marsigliese” in parte dalla stessa nobiltà decaduta, privata sotto finale dalle pompose parrucche, a simboleggiare che da oggi un’era si conclude e un’altra se ne apre.

PENNE E CALAMAIO. Il dramma si snoda attraverso la lettura della fitta corrispondenza fra i personaggi. Mittente e destinatario se ne fanno interpreti, le parole passano dall’uno all’altro, ripetute con intensità come in un canone: è in questo modo che scopriamo i sordidi piani dei due manovratori Merteuil e Valmont. Ricchi annoiati, espressione di quel libertinaggio tanto caro alla letteratura settecentesca, i due alleati finiranno per farsi una guerra spietata pur di non essere sconfitti dall’avversario. La maschera da vedova morigerata della marchesa cade, svelando una donna capace di calpestare ogni forma di felicità altrui, manipolatrice e meschina, dedita ai piaceri della carne e priva di remore; mentre il visconte, la cui pessima reputazione lo ha sempre preceduto, dopo aver sacrificato l’amore della presidentessa di Tourvel, che è riuscito ad allontanare dalla devozione matrimoniale pur di possedere l’astuta ex-amante, sul letto di morte deciderà di pentirsi rendendo pubbliche le intime confidenze della marchesa, il cui destino verrà segnato dal vaiolo.

MISE EN SCENE. Dunque i personaggi, avvolti nei loro abiti d’epoca più funzionali che strettamente storici si muovono in una scena minimale composta da quinte dai colori cangianti: passando dal blu intenso all’arancione, senza disdegnare tonalità neutre come il tortora, il ghiaccio, il grigio e il dorato. Qualche sedia, artistiche quelle in ferro battuto, e un tavolino sono gli unici oggetti d’arredo. Le luci di Loredana Oddone restituiscono nelle tonalità l’ambientazione, conferendo una spettralità unica agli attori, che sfoggiano una recitazione sottolineata da un gesto stereotipato, proprio dell’età illuminista e in cui è l’eleganza dell’eloquio a prevalere, valorizzato dalla perfetta drammaturgia del suono di Raffaele Bassetti, il quale avvalendosi del repertorio classico e della sonorità degli archi conferisce brio all’insieme. Un tripudio di stoffe sontuose come il velluto nero, il taffetà verde, lo shantung di seta beige, sono frutto invece della consulenza di Ursula Patzak.

UN DUO AFFIATATO. «Crudele è l’appellativo più dolce per una donna» afferma la marchesa e la cattiveria sembra donare particolarmente anche alla Bucci, che conferisce un mordente particolare alla sua Merteuil, rispetto alla candida Tourvel, messa a fuoco dalla seconda apparizione in poi. Nel lungo monologo in cui disvela l’origine della sua natura la marchesa, costretta in un matrimonio di convenienza, si mostra in tutta la sua umanità, fermo poi ritornare sui suoi passi quando costringerà il visconte a consegnare la terribile lettera d’abbandono alla presidentessa. Forse è il sottile fascino del male ma la solida accoppiata è davvero vincente. Sgrosso compassato, arricchisce d’inflessione e sfumature la figura del visconte Valmont, nel quale prevarrà una cinica perfidia fino all’ultimo mettendo in secondo piano il nobile sentimento dell’amore, perfettamente celato. Colella, è un personaggio passepartout a cui basta un ventaglio, una postura, o un timbro di voce per restituire il giusto peso ai personaggi. Mai una parola fuori posto, un atteggiamento inappropriato; la componente erotica viene solo evocata e mai imitata. L’epistola come un moderno WhatsApp, custodisce inconfessabili pensieri, dissimula amicizie, racconta incontri segreti fra amanti e nel momento in cui diventa pubblica, ribalta la reputazione della persona compromessa. Ieri come oggi, al cinema, a teatro o in letteratura “tutto cambia ma tutto si ripete”, al di là di realtà e finzione.

 

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