Il cantautore calabrese si esibirà in concerto con Gino Paoli e Danilo Rea a Zafferana Etnea il 5 agosto: «Insieme ripercorreremo i brani di grandi cantautori come Tenco, Lauzi ed Endrigo. I miei progetti futuri? Entro la fine dell’anno pubblicherò il mio primo disco di piano solo»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]P[/dropcap]er il filosofo René Guenon La grande triade non è altro che il tempo, il passato, il presente e il futuro, ma anche, in un’ambientazione più teologica la triade dello spirito santo. Per me condividere il palco con questi due grandi artisti ha un significato del tutto particolare, perché si creano dei momenti davvero magici». Quando parla della sua collaborazione con Gino Paoli e Danilo Rea, Sergio Cammariere non nasconde l’entusiasmo per un progetto che vede intersecarsi la grande canzone d’autore con il jazz, due delle sue grandi passioni. In effetti il concerto che li vedrà assieme sul palcoscenico dell’Anfiteatro Comunale di Zafferana Etnea sabato 5 agosto (ore 21) si prefigura come un evento unico, in cui i tre musicisti ripercorreranno le tappe salienti del cantautorato italiano: da Bindi a Tenco, da Sergio Endrigo a Lauzi passando per Herbert Pagani. Ad affiancare Sergio Cammariere sarà inoltre la band formata da Amedeo Ariano (batteria), Luca Bulgarelli (contrabbasso), Bruno Marcozzi (percussioni) e Daniele Tittarelli (sax).

Parliamo di questo nuovo progetto: cosa significa per lei condividere il palco con Gino Paoli e Danilo Rea?
«È puro divertimento. L’approccio è molto jazzistico: non abbiamo mai fatto una prova, ci limitiamo a scegliere nei camerini i pezzi che abbiamo voglia di suonare. In alcuni casi non decidiamo nemmeno le tonalità. Del resto ho a che fare con due grandi musicisti: lo stile pianistico di Danilo è inconfondibile, Gino Paoli invece è il capostipite, il più grande cantautore italiano. Gran parte del suo repertorio ha ispirato noi cantautori di un’altra generazione».

Sergio Cammariere, Gino Paoli e Danilo Rea

Nel 1993 lei cantava «Cantautore piccolino confrontato a Paoli Gino». Com’è nato quel brano?
«È stato un divertissement. Ricordo che un pomeriggio Roberto Kunstler – cantautore col quale condivido il mio percorso artistico da venticinque anni – tirò fuori un foglietto in cui elencava cantautori italiani come Bruno Lauzi, Sergio Endrigo e Umberto Bindi, molti dei quali erano miei amici, soprattutto Lauzi. Gino Paoli all’epoca vantava già una carriera trentennale ed era all’apice del suo successo, per cui era normale che io al confronto mi definissi un cantautore piccolino».

Che rapporto avevate all’epoca?
«Ho conosciuto Gino al premio Tenco in occasione di un omaggio a Sergio Endrigo, che allora era ancora vivente. Era un momento felice per la canzone d’autore italiana. Poi lo incontrai nuovamente sul palco nel 2006, quando dopo la scomparsa di Sergio fummo invitati entrambi a prendere parte a un concerto-tributo organizzato da Sergio Bardotti. In quella occasione lui cantò tre brani, e io feci lo stesso. Tra questi pezzi c’era una canzone scritta da Endrigo assieme a Vinicius de Moraes che ho inciso nel mio ultimo album».

Il suo nuovo disco contiene anche un inedito scritto a quattro mani proprio con Gino Paoli. Com’è nata Cyrano? E come si relaziona al resto del suo nuovo disco, Io?
«Da tempo avevo il desiderio di lavorare a un pezzo assieme a lui. Gli mandai alcuni provini strumentali e lui ne scelse uno, su cui poi scrisse il testo. La storia di Cyrano de Bergerac la conosciamo tutti, in questo senso la canzone è una specie di confronto tra padre e figlio. È un brano cui tengo molto, contestualizzato in un disco importante all’interno del quale ripercorro i miei successi in una nuova veste, supportato dalla mia band e dall’orchestra che conferisce al tutto un colore particolare».

Come sta la canzone d’autore oggi?
«Credo che ogni esperienza sia basata sull’ascolto del prossimo, sia nella vita sia in musica. Durante l’adolescenza mi piaceva moltissimo ascoltare Fabrizio De André, Francesco Guccini, Francesco De Gregori. La mia generazione suonava le loro canzoni con le chitarre a scuola ed eravamo pervasi da questi endecasillabi meravigliosi. Probabilmente i giovani di oggi, in questo senso, hanno meno riferimenti».

Cosa si può fare per far fronte a questa mancanza?
«Credo che la canzone d’autore rimanga viva solo se riletta e riscritta in ogni momento. Mi spiego meglio: durante i miei concerti suoniamo sempre le stesse canzoni, ma le approcciamo sempre in maniera diversa. È come se l’arrangiamento nascesse nel momento in cui eseguiamo il pezzo, solo così un brano può diventare davvero un evergreen».

Sergio Cammariere
foto Manuela Kalì

L’idea è quindi quella di trattare le canzoni come fossero degli standard jazz?
«In un certo senso sì. Del resto questa è anche la nuova tendenza che c’è a New York: oggi anche i grandi jazzisti preferiscono suonare le canzoni dei cantautori al posto degli standard di Cole Porter, Tony Bennett o Frank Sinatra. Herbie Hancock, che è sempre stato uno sperimentatore, sta lavorando molto in questa direzione e propone spesso brani di cantautori, anche più giovani di me».

Ha nominato Herbie Hancock. Chi sono i suoi riferimenti jazzistici?
«Sono molti, anche se non tutti noti. Ad esempio Umberto Cesari, un pianista italiano molto attivo negli anni ’50 che ebbi modo di conoscere alla fine del millennio. Tra i miei ascolti preferiti poi ci sono Miles Davis, John Coltrane e Bill Evans».

E Keith Jarrett? Com’è nata l’idea di incidere My Song?
«Amavo molto il disco che incise con Jan Garbareck e mi era venuta voglia di fare una versione solo piano, che divenne l’intro di tutti i miei concerti nel 2003. Dieci anni dopo la incisi nel mio disco Cantautore piccolino».

Oltre al jazz nella sua musica fanno capolino tante altre influenze, come quelle latinoamericane. Come le concilia con la tradizione cantautorale italiana?
«Tra l’88 e l’89 ho avuto la fortuna di vivere una parte della mia vita a Rio De Janeiro, dove ho avuto modo d’incontrare tanti musicisti e assorbire quelle vibrazioni. Ho sempre amato la bossa nova, che continuo a cantare, ad esempio nel nuovo disco abbiamo inciso Con te o senza te assieme a Chiara Civello. In generale, comunque, sono sempre aperto a nuove culture: i miei viaggi, da Cuba all’Africa, mi hanno sempre ispirato».

Anche la Sicilia rientra tra questi luoghi d’ispirazione?
«In Sicilia vengo tutti gli anni e ci torno sempre volentieri perché penso che sia una terra molto bella. Mi sono fermato molto tempo alle Eolie, vagando da isoletta a isoletta, sono fonti d’ispirazione mitologica».

A proposito di miti, possiamo dire che questi siano una costante nella sua produzione artistica?
«Senza dubbio. Dalla pace del mare lontano, che è divenuta una delle canzoni manifesto della mia collaborazione con Roberto Kunstler, viene dalla storia mitologica di Itti e Senia raccontata ne “I figli del mare”, una poesia scritta a inizio novecento dal filosofo goriziano Carlo Michelstaedter. Il brano è una sorta di “traduzione” del testo poetico».

Che progetti ha in cantiere per il futuro?
«Entro la fine dell’anno uscirà il mio primo disco di piano solo, una scommessa che avevo in mente da tempo e che in qualche modo era già stata anticipata da un brano, Sila, contenuto nel mio ultimo album. All’interno ci saranno composizioni che avevo realizzato per il cinema e altri inediti».

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