La forma curiosa di uno scheletro con segni di racnodattilia ha attirato l’attenzione dell’antropologo Dario Piombino-Mascali e della sua equipe. Tramite esso, infatti, sarà possibile gettare nuova luce su aspetti di civiltà antica e sulla sindrome Marfan, una malattia fino a poco tempo fa solo ipotizzata

Se pensate che Niccolò Paganini, Charles de Gaulle e Abramo Lincoln non abbiano niente in comune, non solo vi sbagliate, ma resterete sorpresi nello scoprire che a legarli è una caratteristica condivisa anche con il faraone Akhenaton: tutti e quattro si sospetta soffrissero della sindrome Marfan, una rara malattia scoperta dall’omonimo francese. A confermare le ipotesi sull’esistenza della patologia, sulle sue caratteristiche e sui soggetti interessati un recente rinvenimento che ha avuto luogo in Sicilia.

A Palermo, infatti, l’antropologo Dario Piombino-Mascali ha guidato un gruppo di ricerca internazionale riunito per collaborare al Progetto Mummie Siciliane presso le Catacombe dei Cappuccini di Palermo, dove l’équipe di esperti ha constatato la presenza di una mummia affetta dallo stesso morbo. Si tratterebbe di un problema che coinvolge il cuore, i polmoni, gli occhi e soprattutto il sistema scheletrico degli infermi, riconoscibile peraltro per via di una forma particolarmente evidente di racnodattilia.

In altre parole, i soggetti interessati avrebbero delle dite delle mani molto lunghe e affusolate, definite addirittura “a ragno”, e per la prima volta si è potuta constatare questa specifica condizione in un giovane abitante della Trinacria vissuto nel XIX secolo. I risultati delle ricerche verranno pubblicati alla fine del 2018 in un volume edito dalle Edizioni di Storia e Studi Sociali di Ragusa. «Ancora una volta, le Catacombe di Palermo si confermano un autentico scrigno di informazioni – ha dichiarato Padre Salvatore Zagone, Ministro provinciale dei Cappuccini – un tesoro inestimabile da ogni punto vista».

Ma perché il rinvenimento ha suscitato un tale scalpore? Lo ha spiegato Sebastiano Tusa, Assessore dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, secondo il quale «si tratta di uno degli studi di mummiologia tra i più rinomati al mondo, che contribuisce a fornire utili dati sulla paleopatologia dei nostri antenati e ci permette di avere una visione diacronica e storicizzata della salute della popolazione della città che può essere utile per un’anamnesi storica della popolazione odierna». E Piombino-Mascali ha per di più osservato in merito che «oltre ad aver rivelato particolari su traumi, patologie dentarie e tecniche di imbalsamazione, questi preziosi reperti ci permettono adesso di conoscere meglio una malattia come quella di Marfan, finora solo ipotizzata su alcuni personaggi storici».

Un grande traguardo, quindi, non solo per gli archeologi, ma anche per gli studiosi di ambito medico e per gli storici della cultura e del territorio, i quali avranno una ragione in più per considerare il Progetto Mummie Siciliane una punta di eccellenza nel settore. Questa realtà tutta isolana, che è nata 11 anni fa e che può fregiarsi del patrocinio dell’Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, è non a caso composta da personalità di spicco provenienti da tutto il mondo e nell’estate 2018 ha tenuto la terza edizione della Mummy Studies Field School, una scuola che ha interessato i comuni di Palermo, Piraino, Savoca e Santa Lucia del Mela e alla quale hanno preso parte alcuni studenti dell’Università del Nebraska.

A seguito di una conquista tanto significativa, la Sicilia è ora sotto i riflettori della comunità scientifica internazionale: «Per questi motivi, nei prossimi anni proporrò di organizzare il Congresso mondiale di studi sulle mummie proprio qui nella nostra isola», ha dichiarato Dario Piombino-Mascali, il quale ha da sempre riconosciuto la posizione-chiave occupata dalle Catacombe del capoluogo. La speranza è dunque che Palermo riesca con orgoglio a tenere alto il proprio nome, contribuendo con grande sforzo ai passi avanti necessari da compiere in numerose aree del sapere e rimanendo celebre nel mondo per delle ragioni che, una buona volta, non siano solo “cosa nostra”, bensì “cosa (gradita) di tutti”.

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