L’articolo che segue è stato scritto da una studentessa di “Storia e tecnica del giornalismo” tenuto dal prof. Giuseppe Di Fazio presso l’Università degli Studi di Catania

A Catania, un piccolo pezzo di città vive sospeso tra due mondi. Sono i 3714 cittadini di origine srilankese (ISTAT 2022): divisi tra il rimpianto di ciò che hanno lasciato – e che difficilmente potranno recuperare – e lo smarrimento per una cultura nuova, che faticano a sentire intimamente propria. Molti di loro sono poco più che bambini. Bambini come Saman, 11 anni, fino a poco tempo fa del tutto estraneo alla lingua e alla cultura della città dove è nato e cresciuto.

SOGNO SPEZZATO. È prassi comune, infatti, che le nuove generazioni vengano allevate nelle scuole singalesi della città etnea. Un modo per mantenere saldo il legame con le proprie radici. Ma anche per prepararli all’agognato ritorno in patria. Peccato che quel ritorno, spesso, non possa materializzarsi. La crisi economica e alimentare in Sri Lanka è ancora profonda, forse persino peggiorata a causa della pandemia degli scorsi anni. Molti si rendono conto troppo tardi che rimanere in Italia è la scelta migliore per il loro futuro. A farne le spese sono proprio i bambini che cominciano a frequentare gli istituti italiani.

Mentre tutti i bambini della sua età facevano gruppo, Saman stava seduto in disparte. Era nato qui, ma non capiva cosa gli dicessero

Saman è uno di questi. Fino a un anno fa preferiva guardare i cartoni animati in inglese o in sinhala perché di italiano non sapeva sostanzialmente nulla (e neppure gli piaceva). Inoltre, quando parlava con i suoi genitori, usava principalmente il sinhala, ma ogni tanto mischiava qualche parola in inglese. Anche i suoi genitori non sapevano parlare bene l’italiano, proprio come lui. Saman si sentiva disorientato: mentre tutti i bambini della sua età correvano, giocavano e si parlavano tra di loro, lui rimaneva seduto in disparte. Alcuni si avvicinavano per cercare di integrarlo nel gruppo, ma senza successo. Il suo era un vero paradosso: non riusciva a capire cosa dicessero nonostante fosse nato qui.

RICOMINCIARE DA CAPO. Quando l’ho conosciuto, Saman aveva preso la decisione di ricominciare tutto da zero. Ho provato a rimanere sempre al suo fianco, cercando di essere una presenza costante, supportandolo nel percorso di apprendimento della lingua italiana e accompagnandolo passo dopo passo lungo il suo cammino. Il primo passo fu quello di imparare l’alfabeto italiano e familiarizzare con i suoni delle singole lettere. Iniziò a formare le sue prime parole italiane, combinando tre o quattro lettere dell’alfabeto. Il suo secondo obiettivo era quello di ampliare il suo vocabolario italiano, e in questo contesto l’inglese gli fu di grande aiuto. Ogni sabato, gli inviavo una lista di vocaboli nuovi e lui si dedicava alla ricerca di nuove parole italiane e ne studiava il significato in lingua inglese. Per fare ulteriori progressi, iniziò anche a guardare i cartoni animati in italiano, poiché lo aiutavano a comprendere meglio ciò che i suoi compagni dicevano.

Uno degli ostacoli più difficili per Saman è stata la grammatica italiana. Si trovava ad affrontare concetti grammaticali completamente nuovi e inesistenti in sinhala: cosa erano gli articoli? Perché esistevano nomi femminili e maschili? Cosa significavano tutti quei tempi verbali, mentre lui ne conosceva solo alcuni? Non capiva perché fosse necessaria la concordanza di genere tra sostantivi, aggettivi e pronomi. Inoltre, si chiedeva perché le frasi in italiano fossero così rigide e prive della libertà che invece trovava nella sua lingua madre, il sinhala. La sua mente era piena di domande senza risposta. Per un insegnante questa è una grande sfida, bisogna cercare di trovare le parole giuste e utilizzare strategie diverse per rendere i concetti più comprensibili. Mi sono trovata nella situazione di far entrare i bambini in un mondo completamente nuovo, spiegando loro che in italiano ogni sostantivo, aggettivo e pronome ha un genere. Oltre a fornire loro regole grammaticali dettagliate da seguire, ho mantenuto la pazienza. Ho ripetuto molte lezioni, spiegando lo stesso concetto più volte e offrendo ai bambini diverse attività di pratica. Un’altra fase cruciale è stata l’ascolto. Tuttavia, poiché Saman era molto interessato agli argomenti legati alla natura, gli ho suggerito di guardare alcuni documentari.

«Desidero vivere qui perché voglio realizzare
i sogni dei miei genitori. Un giorno, andrò all’università come te e li renderò orgogliosi»

Saman

Ogni volta che andavo a trovarlo, lui mi raccontava tutto ciò che aveva compreso osservando i documentari. Le maestre della sua scuola, a loro volta, si sono impegnate per favorire l’integrazione di Saman con il resto della classe. Ho notato numerosi miglioramenti, soprattutto nel suo modo di esprimersi in italiano, dopo che aveva cominciato a stringere amicizie con gli altri bambini italiani.

Grazie alla sua determinazione, Saman è riuscito a superare le difficoltà e oggi è in grado di interagire con i suoi compagni di classe. Si sente a suo agio nel parlare con le maestre, affrontare le verifiche e comprendere i concetti di base della grammatica italiana. Si impegna costantemente nello sforzo di leggere libri e guardare cartoni animati in italiano, esercitandosi anche nella scrittura di temi e storie. Le maestre a scuola sono felici di vedere finalmente i suoi progressi e il suo successo nello sforzo di imparare l’italiano. Un giorno, Saman mi ha detto: «Voglio continuare a vivere qui e preferisco andare nella scuola italiana». Curiosa, gli ho chiesto il motivo e lui mi ha risposto: «Mi diverto qui, non sono troppo severi, le persone sono gentili, i miei compagni mi vogliono bene e riesco a capirli meglio. Desidero vivere qui perché voglio realizzare i sogni dei miei genitori. Un giorno, andrò all’università come te e li renderò orgogliosi». Ho capito che non era più uno straniero. Da adesso poteva semplicemente essere Saman.

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