Rocco Lentini e il mistero della coppia: l’arte del non detto a San Giovanni degli Eremiti

Quando il pittore palermitano realizzò uno dei suoi più famosi dipinti aveva soltanto 18 anni. E in quella veduta così suggestiva – di un luogo spesso meta del Grand Tour – apparvero due figure destinate a rimanere profondamente affascinanti. Si guardano l’un’altra, fissi, come se il resto non esistesse. Perché sono lì? Cosa hanno bisogno di rivelarsi? A volte, ciò che di un quadro resta, è quello che il quadro non rivela. Ma che sboccia eternamente nell’immaginazione

In Summer Evening, dipinto del 1947, Edward Hopper diede vita ad una vera e propria magia. Gli bastarono due giovani all’apparenza svogliati, sotto un porticato di un anonimo bianco. Uno di quelli che più americani non si può. Tutto intorno, una notte di silenzio. Così scura da lambire i loro occhi, da serrare le loro labbra. Lui guarda lei: la mano sinistra, forse, sul cuore. Nient’altro esiste, in apparenza. Non una parola tra i due. Ma ecco l’inattesa folgorazione: ciò che il quadro non racconta diventa il soggetto. Quel dialogo mai chiarito – forse mai avvenuto – si insinua negli occhi, nel cuore, si fa strada fino all’anima e lascia che le suggestioni fioriscano. Sarà stato il loro ultimo incontro? Si saranno detti quello che covavano nel segreto dei loro rimpianti? O saranno rimasti lì, a guardarsi di traverso, prima di separarsi una volta per tutte? Il dipinto ha superato sé stesso. Ciò che l’immagine e il colore non hanno catturato continua ad aleggiare sulla tela. E sopravanza ogni tecnica, ogni altro elemento vagamente paesaggistico o architettonico. La coppia il loro silenzio ribollente sono un quadro nel quadro. Il motivo per cui, ancor più di ogni poetica, il dipinto imprime sé stesso nella memoria di chi guarda. Di coppie sfuggenti, aggrappate a sussurri misteriosi, incomprensibili, fugaci come lampi e profondi come oceani, l’arte ne è piena. Il bacio di Hayez come premessa ad una rocambolesca fuga; Gli amanti di Pierre-Auguste Renoir e il loro bucolico distacco dalla civiltà; La bella dama senza pietà di John William Waterhouse, in cui un soldato abbandona momentaneamente il campo di battaglia per incrociare lo sguardo di chi lo attende. Ma anche la Sicilia può vantare una coppia enigmatica. Ritratta nel 1876 da Rocco Lentini, artista nativo di Palermo, che legò il suo nome certamente alle importanti decorazioni realizzate per i teatri Massimo e Politeama del capoluogo e per il Bellini di Catania, alle influenze che trasse dagli ambienti culturali nord-europei e al discepolato artistico condotto presso Francesco Lojacono. E che, tuttavia, per quell’incantesimo che solo il non detto sa innescare, ha affascinato il suo pubblico con uno scorcio siciliano peculiare. Che racconta una storia e forse, inconsciamente, ne cela molte di più.

Rocco Lentini, San Giovanni degli Eremiti, 1876

Ad appena 18 anni, Lentini ritrasse, infatti, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti, splendido esempio palermitano di architettura araba in Sicilia. Un olio su tela raffinato, in cui il vivido azzurro del cielo abbraccia le bianche cupole dell’edificio – che poi, con il restauro del 1882 ad opera di Patricolo diverranno rosse – che quasi sembrano volersi mischiare agli altri stracci di nubi. Lo scorcio del prospetto orientale della chiesa lascia intravedere le absidi, che quasi si affacciano incuriositi su una terra brulla, selvaggia, dai tratti quasi rovinosi. In basso a sinistra, una coppia, in abiti riconoscibilmente borghesi, è intenta a fissarsi in una solitudine quasi assordante. La loro concentrazione è interamente rivolta l’uno all’altra. La magnificenza alle loro spalle quasi si dissolve, lo spopolamento circostante si piega all’intensità del loro scambio visivo. Contrariamente alla consuetudine, è l’uomo a reggere il parasole, nonostante già un cappello a cilindro gli copra la testa. Forse è intento ad offrirlo come riparo alla sua compagna di viaggio, che tuttavia sembra tenerne un altro al braccio. Sono forse due forestieri, desiderosi di visitare un luogo che tanti pellegrini del Grand Tour giungevano ad ammirare? O, piuttosto, ci troviamo dinanzi a due avventori approdati lì per rivelarsi qualcosa di significativo? Per suggellare qualcosa di rilevante alla presenza di un simbolo? Un simbolo che, di certo, non fissano. E Lentini lì ritrae proprio lì, quasi in disparte, lontani da occhi indiscreti, tra la luce e l’ombra, mentre tutto scorre e tutto resta immobile. Le mura della chiesa li proteggono, ma non fino in fondo. Hanno qualcosa da dirsi, ma devono fare presto, se il segreto del loro parlare deve restare tale anche a quello della vista. Il loro passaggio, chissà se nato davvero soltanto con lo scopo di una gita fuori porta o di una meta turistica, si è trasformato in qualcosa di decisivo. Unici, accorati e vicendevoli testimoni.

Perché l’arte, a volte, non può che risolversi in questo. In un mistero umile, nel nulla che comunica essenza. In un giorno di sole siciliano, forse come tutti gli altri. O forse speso a dirsi ti amo – il primo o l’ultimo? -, addio. A dirsi che un giorno, a San Giovanni degli Eremiti, vale come cento giorni divisi. O che l’illusione può durare lo spazio di un mattino. Lo spazio di un parasole che si apre.

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Giornalista, laureato in Lettere all'Università di Catania. Al Sicilian Post cura la rubrica domenicale "Sicilitudine", che affronta con prospettive inedite e laterali la letteratura siciliana. Fin da giovanissimo ha pubblicato sulle pagine di Cultura del quotidiano "La Sicilia" di Catania.

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