La chiesa di San Domenico, in provincia di Trapani, custodisce un’opera che trovandosi a compimento del Manierismo siciliano, spalanca le porte a quell’arte Barocca di cui nella nostra isola andiamo fieri

Sommo esempio dell’arte italiana, figlia di un genio come Michelangelo, ancora oggi cinta di mistero, la Cappella Sistina, incastonata come una gemma all’interno dello Stato più piccolo del mondo, la Città del Vaticano, mostra quotidianamente i suoi tesori a milioni di turisti, salvo in quel breve periodo di tempo durante il quale le sue porte vengono sigillate per consentire l’elezione di un nuovo pontefice. Simbolo del potere papale fin dalla sua creazione tra il 1471 e il 1485, per volontà di Sisto IV dal quale prende il nome, è probabilmente tra gli edifici di culto di cui maggiormente si è scritto e su cui maggiormente si è studiato. Qualcuno potrebbe dire: «Certe cose si possono trovare solo a Roma». Nulla di più sbagliato. Anche la Sicilia può dire con orgoglio di possedere la sua “Cappella Sistina”. Dove? A Castelvetrano, in provincia di Trapani.

CASTELVETRANO. Baciata dal Mar Tirreno, Castelvetrano nasce in epoca medievale come piccolo borgo retto da un’amministrazione di tipo feudale. Nel 1299 fu assegnata alla famiglia dei Tagliavia, prima come baronia, poi come contea e successivamente come principato. Una passeggiata nel suo centro storico, tra vicoli e cortili, graziosi palazzi e pittoreschi angoli, è un viaggio a ritroso nel tempo nel cuore di quella che fu la struttura urbanistica di richiamo islamico, e al cospetto delle eleganti dimore di quella nobiltà illuminata che fece di Castelvetrano una delle città più opulente della Sicilia. L’esempio più elevato di questa ricerca del bello che caratterizza la piccola cittadina del trapanese è senza ombra di dubbio la Chiesa di San Domenico, eretta nel 1470 per volere di Giovan Vincenzo Tagliavia, signore di Castelvetrano.

IL GOVERNATORE DI MILANO. Nella sua prima impostazione la Chiesa fu affidata ai frati francescani e fu dedicata a Santa Maria di Gesù. Nel 1487, per concessione di Papa Innocenzo VIII, Nino III Tagliavia ottenne il permesso di costruire un grande convento per i frati domenicani. La spoglia Chiesa quattrocentesca ormai officiata dai seguaci del fondatore dell’Ordine dei Predicatori, nella seconda metà del XVI Secolo incontrò il gusto eclettico di uno degli uomini più famosi e potenti di Sicilia, d’Italia e dell’intero Regno di Spagna, Carlo Aragona Tagliavia. La notorietà di questo principe di Castelvetrano fu così diffusa che Manzoni nel suo romanzo “I Promessi Sposi” fece emanare proprio a Carlo Aragona, governatore dello Stato di Milano, l’editto contro i bravi.

L’ALBERO DI JESSE. Il principe Carlo Aragona Tagliavia volle rendere il tempio domenicano di Castelvetrano il suo mausoleo personale, e così chiamò uno degli stuccatori più celebri della Sicilia, Antonino Ferraro da Giuliano, che già aveva fatto parlare di sé per le opere compiute in altri edifici sacri. Il risultato fu sorprendente: tra il 1577 e il 1580 diede sfogo a tutta la sua maestria nel concepire quella che ancora oggi viene definita la “Cappella Sistina di Sicilia”. Un’opera che, trovandosi a compimento del Manierismo siciliano, spalanca le porte a quell’arte Barocca di cui nella nostra Isola andiamo fieri. Tra le creazioni che maggiormente attraggono l’attenzione dei visitatori vi è certamente la decorazione che sormonta l’arco attraverso il quale si accede alla cappella del coro. Un capolavoro di stucchi che raffigura “l’albero di Jesse”, il capostipite di quella grande dinastia biblica che passando per il re Davide, suo figlio, giunge fino al Cristo. Altri artisti nel corso del tempo si preoccuparono di arricchire la Chiesa di San Domenico rendendola un piccolo grande gioiello dell’arte siciliana.

IL TERREMOTO DEL 1968. La storia a volte è crudele proprio con le cose più belle e che più affascinano. Infatti, dopo ben quattro secoli di splendore la celebre chiesa di Castelvetrano fu gravemente danneggiata dal terremoto della valle del Belice del 1968. Come spesso accade nella nostra Isola, non è stato facile restituire alla piccola cittadina del trapanese questo imponente esempio del Manierismo. Ci sono voluti ben 46 anni prima che, non molto tempo fa, grazie all’intervento dell’architetto Gaspare Bianco e della Soprintendenza ai beni culturali di Trapani, si restaurassero stucchi e marmi dell’apparato decorativo del presbiterio e si liberassero quei capolavori dai ponteggi. Un esperienza che certamente fa riflettere. Che valore ha per noi Siciliani la cultura? Siamo davvero disposti ad aspettare così tanto tempo per riabbracciare opere del genere, e nel frattempo sborsare del denaro per ammirare opere presenti in altre regioni?

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