A quattro mani con Mozart: il compositore siciliano che ha completato il Requiem
«Se un compositore vuole dimostrare la sua bravura, sicuramente lo fa con la scrittura sacra». Sono le parole del maestro Giovanni Ferrauto, compositore catanese e docente di composizione presso il Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania. Ed è proprio nelle pericolose acque della scrittura sacra che Ferrauto ha deciso di navigare, proponendo un completamento al Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart, lavoro incompiuto del più geniale compositore nella storia della musica.
Una miriade di miti e congetture ha contribuito a rendere il Requiem, che nel catalogo mozartiano già si distingue per l’insolita tragicità, una composizione enigmatica, le cui controversie sono ancora centrali nel dibattito storico e musicologico. La leggenda vuole che la Messa di requiem in re minore, K 626, sia stata cominciata da Mozart dopo aver ricevuto una lettera anonima, nella quale gli veniva commissionata una messa funebre. La morte del prodigio di Salisburgo consegnò poi il Requiem nelle mani dell’allievo Franz Xaver Süßmayr, che portò a compimento l’ultima composizione di Mozart, curandone l’orchestrazione, ultimandone il celeberrimo Lacrimosa e l’Offertorium e componendo di suo pugno le sezioni mancanti della Messa (Sanctus, Benedictus, Agnus Dei e Communio).
Il completamento di Süßmayr è da considerarsi quello canonico. Ma l’allievo di Mozart, sostiene Ferrauto, commise alcuni errori clamorosi nel comporre l’Osanna del Sanctus e quello del Benedictus: «Non gli risultò qualcosa e gli vennero in due tonalità diverse. Figuriamoci se Mozart potesse commettere un errore simile. Sembra una sciocchezza, ma non lo è».
Nel Communio, la parte finale del Requiem, Süßmayr riprese il materiale della prima sequenza dell’Introitus, la parte iniziale della Messa. «Mozart non l’avrebbe mai fatto» spiega Ferrauto «perchè nella musica sacra si usa la forma aperta, per cui se cambia il testo cambia anche la musica; non si ripete mai la stessa musica e questa è una regola basilare che risale al Rinascimento».
Insomma, per Süßmayr fu semplice completare i pezzi sulla falsariga degli scheletri abbozzati da Mozart, ma lo stesso non si può dire per le parti composte ex novo. Ed è qui che davvero si delinea la differenza tra il maestro e l’allievo, non soltanto per gli errori compositivi, ma anche per questioni stilistiche.
«Nello stile di ogni epoca» asserisce Ferrauto «ci sono due aspetti: c’è la prassi stilistica, che un bravo compositore deve acquisire con la scuola; ma poi c’è il genio, perché all’interno di questo linguaggio così codificato solo un genio è capace di trascendere le regole dello stile. Süßmayr non poteva mai avere il genio di Mozart, quindi i suoi pezzi risultano sì nello stile galante [lo stile della seconda metà del Settecento, ndr], ma non in quello di Mozart. Non hanno quell’afflato, risultano molto manieristici.»
A partire da questa idea, una decina di anni fa Ferrauto concepì l’idea di proporre un’alternativa ai pezzi composti da Süßmayr. Ma il passaggio dal concepimento alla realizzazione non è stato rapido: Ferrauto racconta di aver minuziosamente approfondito gli aspetti stilistici della produzione sacra di Mozart, per poi lavorare con delle copie del manoscritto autografo, senza dubbio un’esperienza suggestiva: «Questo manoscritto è straordinario, in quanto è uno scritto di novanta pagine e c’è solo una battuta cancellata. Quest’uomo aveva tutto in testa e semplicemente portava su carta con la penna».
In una simile operazione l’entusiasmo, riferisce il compositore, è obnubilato dal terrore di misurarsi con una figura demiurgica quale è Mozart, ma anche di ricadere nell’esercizio manieristico, come avvenne per Süßmayr. Ferrauto afferma di aver ricercato un’autonomia artistica ed espressiva e di essersi al contempo assicurato di attingere alla fonte mozartiana adoperando un escamotage: «Tutte le cellule tematiche che ho utilizzato derivano da altre composizioni di Mozart, ho preso dei frammenti melodici o armonici. Ad esempio, il tema della fuga dall’Osanna in realtà è l’inizio di un’aria de “Le Nozze di Figaro”. Da quelle quattro note ho composto il fugato. Nell’Agnus Dei ho usato due battute di basso cromatico discendente tratte da una Messa. Non vi dirò mai quale».
Ma il modus operandi di un compositore non si limita mai al fatto tecnico: è indispensabile la componente emotiva. È proprio il caso del Requiem di Ferrauto, pensato per omaggiare il suo grande amico Marcello Giordani, tenore di fama mondiale scomparso tre anni fa: «Mi sono sempre posto il problema di come omaggiarlo. Questo bisogno ha incontrato la mia volontà di completare il progetto, e così è a lui che è dedicato il mio Requiem. Grandissimo artista, ma soprattutto grandissimo uomo. Ha avuto una carriera internazionale, ha abitato a New York e a Londra, ma è voluto tornare in Sicilia per aiutare i giovani. Organizzavamo i concerti e non voleva cantare: “Devono cantare i giovani”, diceva. Quando gli parlai del mio Requiem fu la volta che mi disse: “Canto io”».