Alfio Bonanno, il mago dei sassi: «La Land Art ha tradito la natura»
Il suo aspetto è inconfondibile: barba folta e lunga come quella dei boscaioli svizzeri del Seicento, sorriso semplice e grandi mani che, con destrezza, lavorano piante, pietre e quant’altro lo ispiri nei boschi. Alfio Bonanno, classe ’47, nato a Milo ma australiano di formazione, è uno dei più quotati artisti di Land Art. Le sue installazioni site specific sono mappate in tutto il mondo e coinvolgono le foreste del Canada, Indonesia, Giappone, Regno Unito, Europa e Usa. Il suo lungo percorso artistico inizia a Sydney e prosegue a Roma nel 1970. Dall’Italia passa poi in Danimarca (paese in cui vive tutt’oggi) dove si consacra come artista internazionale. La sua cifra poetica è la particolare attenzione posta al rispettare le caratteristiche del luogo e al coinvolgimento della popolazione che lo abita in ciascuno dei suoi lavori. Una fusione di intenti che Bonanno definisce “Arte e Natura” e nella quale è possibile leggere la vicinanza alla terra e ai suoi valori che gli deriva da un’infanzia contadina e dalle sue origini isolane.
«Quando mi invitano in un Paese per un progetto d’arte – spiega Bonanno –, vado lì con carta bianca. Sento che, prima di progettare, devo conoscere le persone e l’ambiente. L’intenzione è quella di fare un lavoro che si agganci a un determinato luogo, non un progetto imposto da me. Bisogna operare con molta umiltà. Tuttavia, quell’idea non deve per forza concretizzarsi: a volte il paesaggio ha un’espressione in sé che non necessita di arte». Applicando questo medesimo spirito ad un’installazione site specific in Indonesia, nel 2002 Bonanno ha conosciuto la fama internazionale: a Nitiprayan, nell’isola di Giava, infatti, ha realizzato una conchiglia alta più di 3 metri, divenuta un riparo dal sole e dalla pioggia per gli abitanti, coinvolti anch’essi nel progetto. Un’opera che rende omaggio, a partire dalla scelta del bambù come materiale da costruzione, alle tradizioni e alla memoria paesaggistica del luogo.
UN AMORE CHE VIENE DA LONTANO. L’anima da giramondo, d’altra parte, Bonanno la porta con sé fin dagli albori della sua vita, quando, nel secondo dopoguerra, emigra in Australia con la famiglia a soli 4 anni. Approdati nel Queensland, i suoi genitori si dedicano alla coltivazione della canna da zucchero in un contesto agreste di cui Bonanno conserva memorie importanti, legate alle vigne intorno a Milo e all’armonia di una semplice vita contadina. «Andavo nel bosco per disegnare la natura – racconta con entusiasmo –. Mio padre era bravo a fare i panari per la vigna. La sua ingegnosità mi impressionava tanto. Divenne parte del mio percorso». Con il progressivo manifestarsi della sua vocazione artistica, la vita contadina comincia a stargli stretta: «All’età di 14 anni ci trasferimmo nel Sud, nei pressi di Sidney. Ogni weekend ne approfittavo per prendere il treno e andare alla Galleria Nazionale: ammiravo i primi paesaggisti australiani come Tom Roberts e la loro abitudine ad accamparsi in mezzo alla giungla per dipingere en plein air. Poi conobbi la Land Art di Robert Smithson».
IL RITORNO IN ITALIA. Nel 1965 Alfio Bonanno lascia le foreste subtropicali australiane, coi suoi coccodrilli e canguri, per approdare in Italia. Un viaggio in nave di sola andata compiuto per volontà dei genitori i quali lo incoraggiano ad inseguire il proprio sogno lontano dall’Australia. Ormai maggiorenne, infatti, Bonanno sarebbe stato altrimenti costretto a prendere parte alla guerra in Vietnam. Passa la traversata pregustando la vista dell’Etna. «Mi affascina tutt’oggi vedere la sua natura – racconta –, ed è forte il mio senso di appartenenza qui. Ricordo i carbonari, i nivaroli. Ricordo che, prima di partire per l’Australia, l’Etna ci “salutò”. Mi impressionò la vista del fuoco e la portai con me per sempre».
Dopo una breve parentesi a Messina dagli zii materni, nel 1970 Bonanno si trasferisce a Roma dove la sua concezione di Land art troverà interlocutori importanti in personalità come Burri, Robet Morris, Christo, Michael Heizer. Vi si allontanerà però quando inizia a prevalere in lui la convinzione che, spesso, la Land Art tradizionalmente intesa tradisca la sua vocazione ecologista e finisca per incentivare un turismo invasivo e dannoso per i territori: «il progetto deve rispettare al massimo l’ambiente, la comunità e dialogare con la natura – spiega Bonanno –. Solo così non si rischia di distruggere l’identità di un luogo». Sempre a inizio Duemila, l’Istituto Cinematografico Danese – dove, nel frattempo, Bonanno ha messo radici – gli dedica un documentario dal titolo “Frammenti di vita”. Alfio Bonanno si impegna inoltre nella creazione di Tickon presso Langeland in Danimarca, un parco internazionale di sculture ambientali che diviene poi primo centro internazionale di “Arte e Natura”.
UN GRANDE ARTISTA SICILIANO. La sua prima biografia – scritta dalla storica d’arte Amy Dempsey e pubblicata di recente per il museo danese Johannes Larsen – non è ancora stata tradotta in Italia. Benché questo dato non abbia pregiudicato la fama di Bonanno nel nostro Paese, potrebbe tuttavia spiegare per quale ragione, proprio nella sua terra d’origine, abbia conosciuto una fama tardiva. Basti pensare che bisogna aspettare il 2016 perché i siciliani possano beneficiare di una delle sue opere sul proprio territorio e qualcuno gli chieda di lasciare la sua inconfondibile impronta sulla sua terra. È il caso de “Le sentinelle”, installazione creata da Bonanno in provincia di Messina, al Parco della Rocca di Nizza di Sicilia (ME): tre sculture realizzate con pietre trovate in loco che si integrano nel paesaggio circostante, riuscendo al contempo a evocare un’atmosfera quasi religiosa.
Nel 2019 è invece il suo comune natale, Milo, a chiedergli un intervento. Ne viene fuori “Alle Radici”, un’installazione site specific nella quale l’arte di Bonanno si traduce nella proposta di una mostra diffusa, un percorso artistico/naturalistico che si snoda presso alcune prestigiose cantine milesi. «Questi inviti, oltre a farmi moltissimo piacere in quanto siciliano, mi hanno permesso di scoprire cose che non ho mai visto o pensato riguardo la mia identità siciliana. Dopotutto, anche se ho trascorso 40 anni di attività all’estero, i miei lavori hanno spesso recato traccia dell’immagine di un’isola e della simbologia dell’Etna, che per me è il cuore della Sicilia. Di questi simboli non ci si dovrebbe mai stancare».