“Cassariàrisi”: la confusione tutta catanese viene da Palermo
Immaginate la scena: siete in Sicilia, per strada, a camminare lentamente per gustarvi ogni singolo elemento architettonico attorno a voi. Vi guardate intorno con la bocca socchiusa, muovete un piede dopo l’altro senza quasi sapere cosa state facendo, e d’un tratto qualcuno vi si avvicina e vi chiede se vi state cassariàndu.
No, questa volta la cassata tipica di queste parti non c’entra, non stanno cercando di vendervi un dessert o di paragonarvi a un dolce che si scioglie al sole. Allora cosa mai vorrà dire questo verbo e, soprattutto, cosa ha a che vedere con la vostra innocente visita turistica?
Rispondere a una domanda simile non è facile come si potrebbe credere, perché innanzitutto bisognerebbe capire in che zona dell’isola vi trovate. Se siete a Palermo, per esempio, è più probabile che vi abbiano appena chiesto scherzosamente come mai vi stavate tanto pavoneggiando durante il vostro tour, mentre se foste nell’area catanese potrebbero avervi domandato se vi siate persi.
Com’è possibile? Il motivo è presto detto: in dialetto il verbo cassariàrisi deriva da cassiàta, sostantivo a sua volta proveniente da qasr, una parola araba che significa castello. Sull’isola si è trasformato nel tempo in càssaro, che poi è diventato un nome proprio e si è addirittura trasformato in un toponimo, definendo l’attuale corso Vittorio Emanuele come il Cassaro del capoluogo di regione.
Quella, infatti, era la via principale della città, quella che partiva dal castello e si sviluppava per il centro storico, ospitando le passeggiate della nobiltà e di chi poteva concedersi il lusso di andare piano (e andar lontano) fra un giro e l’altro grazie a cui sfoggiare abiti e acconciature.
Ecco perché, di solito, la cassiàta a Palermo è la camminata un po’ vanitosa di chi vuole mettersi in mostra apparendo per strada, che per estensione si riferisce ormai anche a chi se la prende comoda, perde (o prende) tempo, perché tanto non ha particolari impegni e può fare tutto con estrema calma.
Dalla parte opposta della regione, proprio questo indugiare un po’ assorto ha dato lo spunto per la creazione di una parola affine, la voce verbale cassariàrisi a cui accennavamo sopra, che più nello specifico alle pendici dell’Etna significa confondersi, non avere le idee chiare, proprio su imitazione dell’atteggiamento svagato e distratto di certi grandi passeggiatori.