Il primo libro che ho letto nel 2023 si intitola Gentiluomini dell’ovest (Safarà, traduzione di Anna Mioni). Lo ha scritto un’autrice scozzese nata nel 1926, che si chiama Agnes Owens e che è rimasta a lungo sconosciuta nel panorama culturale internazionale, pur essendo stata già molto apprezzata in vita da amici e colleghi scrittori quando era in vita. Parla di un muratore di ventidue anni di nome Mac, che abita a Glasgow e si ritrova sempre sull’orlo della povertà assoluta, mentre trascorre le sue giornate fra incontri fortuiti e rapporti con gente non sempre raccomandabile.

Temi come l’alcolismo, la tossicodipendenza
e lo strozzinaggio sono ancora dei tabù
che non pensiamo debbano trovare spazio
fra le storie di cui ci circondiamo

Nel cominciare a sfogliarlo non sapevo bene cosa aspettarmi, forse perché di solito sono tentata di cercare altro fra i capitoli di un libro, pur di inseguire il mio desiderio di evasione, di elevazione, di riflessione. Ma di tanto in tanto, come mi ha appena insegnato questa piccola perla della letteratura inglese, prenderci una pausa dall’avventura, dalla filosofia o dal romanticismo ci permette di riprendere contatto con quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, e di cui magari ci vergogniamo a parlare.

La copertina del libro

Perché le questioni di soldi, o temi come l’alcolismo, la tossicodipendenza e lo strozzinaggio sono ancora dei tabù sociali, dai quali cerchiamo di scappare e che non pensiamo debbano trovare spazio fra le storie di cui ci circondiamo. Eppure, la verità è che la miseria è miseria ovunque, è impregnata di un marchio universale che ci permette di riconoscerla in ogni sua manifestazione, perfino fra i cani randagi o sul fondo di un bicchiere di vino. E anche se quella di Gentiluomini dell’ovest sembra di un tipo lontano, passato, che si esprime con altre parole e conseguenze rispetto al mondo che conosciamo, sotto sotto resta una miseria a noi familiare.

A darcene conferma sono spesso e volentieri i dialoghi fra i personaggi, che come dei piccoli varchi spazio-temporali ci trasportano dentro un universo fatto di nostalgie, ribellioni e aspettative uguali alle nostre. Al suo interno troviamo delle testimonianze taglienti e cupe di come si vive a contatto con l’infelicità, con la povertà, con l’insoddisfazione. E contemporaneamente ci rendiamo conto che la vita del protagonista, proprio come quella che è toccata a noi, da qualche parte nasconde sempre una punta di ironia più o meno amara, più o meno assurda, più o meno commovente.

La povera gente non sarà affascinante come l’eleganza di certi personaggi borghesi, però sa rimanere ben più autentica

Se non avessimo il coraggio di confrontarci con romanzi simili, è probabile che non ce ne accorgeremmo, o che comunque faremmo più fatica a realizzarlo. Immergerci fra le sue pagine, invece, significa prendere una scorciatoia poetica e sferzante, che ci catapulta fra la bellezza e l’orrore della povera gente. Non sarà affascinante come l’eleganza di certi personaggi borghesi, però sa rimanere ben più autentica. Non ci farà appassionare alle vicende di eroi ed eroine da film, ma ci mette davanti agli occhi tutte quelle comparse spesso invisibili che consentono alle grandi narrazioni di andare avanti per la loro strada.

Lo riscontra anche l’autore Alasdair Gray nella sua postfazione al testo, sottolineando che «non si ipotizza in alcun modo che quelle persone possano generare qualcosa di valido o arrivare a essere granché, nemmeno per sé stesse», mentre interessandoci all’esistenza di Mac e di chi ruota intorno a lui capiamo che ci siamo sempre sbagliati, e che alle spalle dei più umili si nasconde uno spaccato di realtà impossibile da liquidare in due parole. Solo qualcuno che conosceva e amava i muratori poteva scrivere di personaggi come questi in modo tanto convincente e diretto, osserva quindi Gray, qualcuno che, «senza per forza approvare le parti più crudeli della loro vita, nell’immaginarle trovava uno sfogo, e non una prigionia», dando anche a chi legge la possibilità di fare lo stesso.

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