Dal fotogiornalismo al capitale cognitivo digitale: l’IA al centro del dibattito a “Il giornalismo che verrà”

Tema centrale degli eventi di mercoledì 4 giugno è stato sicuramente il rapporto tra informazione di qualità e l’influenza degli algoritmi. Ma non solo: spazio anche al brand journalism e alle soft news. Tra gli ospiti Mehdi Lebouachera, Ludovic Blecher, Fernando Vacarini, Maria Pia Rossidgnaud, Derrick de Kerckhove e Lars Boering

L’essenza del giornalismo è costruire un rapporto di fiducia con la propria comunità di riferimento. Le ultime evoluzioni tecnologiche, tuttavia, con in testa l’IA generativa, hanno messo a dura prova questo principio. Arrivando ad intaccare anche la validità dell’immagine fotografica, molto spesso manipolata ad arte. È su questo tema che Lars Boering, direttore dell’European Journalism Centre e già direttore della World Press Photo Foundation, ha condotto, presso la Scuola Superiore di Catania, l’intervento che ha aperto la giornata del 4 giugno de “Il giornalismo che verrà – Festival del giornalismo mediterraneo”. Tracciando un excursus del fotogiornalismo dagli albori alla contemporaneità, il giornalista olandese sull’importanza di guardare alle immagini con occhio critico: «Il giornalismo è l’arte della verifica. Oggi questo processo è diventato molto più complicato. L’IA ha certamente un ruolo, ma è una sfida che dobbiamo affrontare per preservare il valore sociale dell’informazione». Una sfida certamente stimolante, che ci spinge, ora più che mai, ad una profonda riflessione: «Dobbiamo guardare il mondo con una mente sempre proattiva, non soltanto con gli occhi. Le immagini non fanno differenza. A maggior ragione in questo tempo».

A conclusione della mattinata, Raffaella Silipo, responsabile degli spettacoli del quotidiano La Stampa, Giuseppe Attardi, direttore di Segnalisonori, e Alfio Grasso, giornalista e addetto stampa si sono confrontati sulla declinazione che il giornalismo di spettacolo assume nell’era del digitale. «Un giornale nazionale – ha commentato Silipo – può ancora giocare un ruolo. Può farti vedere cose che non rientrano nel tuo sguardo abituale, allargarti gli orizzonti, farti uscire da quella bolla esclusiva delle tue preferenze in cui gli algoritmi ti spingono sempre di più. in questo senso, ciò che cerca di fare è ricreare un minimo di lavoro di comunità». Una prospettiva condivisa da Attardi, che ha puntato l’attenzione sul sottrarsi alla logica della rincorsa frenetica alle notizie: «La corsa alla recensione, che riguarda soprattutto i siti online, andrebbe ripensata. Bisogna invece rallentare, cercare di ragionare, di approfondire attraverso interviste, raccontare storie, svelare dietro le quinte: tutti elementi che spesso il web trascura. A fargli eco l’opinione di Grasso: «Non possiamo più dare soltanto informazioni che poi vengono trasformate in notizie: dobbiamo dare una storia, che va raccontata e seguita nel corso dei giorni e delle settimane. Bisogna scrivere, approntare una vera e propria strategia. L’ufficio stampa oggi deve studiare, comunicare e ad avere un rapporto diverso con tutti i giornalisti».

Lars Boering

Le attività del pomeriggio sono state aperte dall’intervento sul brand journalism di Fernando Vacarini, responsabile Media Relations di Unipol e direttore della testata Changes. Dialogando con il direttore del Sicilian Post Giorgio Romeo, Vacarini ha posto l’accento sulle nuove frontiere del giornalismo aziendale: «Quando si parla di brand journalism, molti pensano erroneamente ad un prodotto pubblicitario vecchia maniera. Ma una comunicazione del genere non sarebbe più efficace. È più importante dare vita a qualcosa di autorevole, sia nelle persone che lo realizzano sia nel modo in cui si presenta. Oltretutto, Changes è una testata registrata, ben più di una semplice rivista aziendale». Attraverso la sua natura trasversale, un prodotto simile può declinare sotto diverse forme i grandi temi del nostro presente: «Abbiamo utilizzato diversi linguaggi. Ci siamo dedicati ai podcast, ma anche a contenuti pensati specificamente per la generazione alfa. L’obbiettivo della nostra comunicazione è creare cultura, un pensiero sottostante».

Derrick de Kerckhove

L’intervento successivo ha visto protagonisti Maria Pia Rossignaud, giornalista e direttrice di Media2000, e Derrick de Kerkchove, sociologo di fama internazionale e allievo di McLuhan. Tema del panel è stato il capitale cognitivo digitale, ovvero in che modo IA e umanità del giornalista possano trovare uno spazio di convivenza: «Il passato è passato e rimane tale. Ma sul futuro – ha commentato Rossignaud – possiamo ancora intervenire. Il problema è creare un ecosistema sostenibile per tutti i media. La domanda da farci è: cosa ne sarà di noi? Oggi con il mondo polarizzato e le nuove tecnologie la velocità fa la differenza e il problema è l’etica e la qualità dell’informazione. La vita è fatta di racconti: noi cresciamo sui racconti. La macchina non può ripetere qualcosa che non è stato prima raccontato». Ma una nuova prospettiva sembra profilarsi all’orizzonte: «Il capitale cognitivo – ha spiegato De Kerckhove – è essenzialmente l’insieme delle nostre conoscenze. Quarant’anni di inserimenti sul web ne hanno creato uno digitale. L’IA, di per sé, non produce senso, ma quando trasponiamo il nostro capitale cognitivo sul digitale, ad esempio in un chatbot, quest’ultimo risponde utilizzando concetti che ci appartengono come individui, quasi fosse un pezzo della nostra coscienza. La sua utilità è che ci permette di mantenere la presenza dell’umano nei contenuti prodotti dalle macchine».

Anche l’ultimo panel di giornata si è soffermato per larghi tratti sul tema delle IA, questa volta per valutarne l’impatto sull’informazione di qualità. A confrontarsi sono stati Ludovic Blecher, CEO di Whitebeard e board member de L’Orient-Le Jour e Mehdi Lebouachera, Global Editor-In-Chief di AFP. A moderare l’incontro è stato Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica. «I fenomeni che più preoccupano e che sono in costante ascesa – ha affermato Lebouachera – sono il proliferare dell’IA e l’arretramento del liberalismo. Due fattori strettamente connessi. Il più grande fallimento è stato pensare che i giornalisti fossero migliori di tutti gli altri, che avessero sempre il diritto di parlare. Ma dobbiamo tornare alle basi: creare legami con le comunità, raccontare fatti e non commenti, discutere di giornalismo collettivamente. Questo rafforza le democrazie». A tal proposito, Blecher ha aggiunto come si cruciale, oggi, acquisire un certo expertise: «Il futuro del giornalismo è locale e specializzato. L’IA, da questo punto di vista, è uno stimolo alla differenziazione: ciò che rende tale un giornalista è l’originalità del proprio contenuto. Ma anche la capacità di mettersi nei panni degli altri, mettendo da parte la propria prospettiva».

Il programma de “Il giornalismo che verrà” proseguiranno giovedì 5 giugno con due appuntamenti mattutini alla Scola Superiore di Catania. Alle ore 11:00, Anna Koens, programme managerdi JournalismFund Europe, illustrerà le opportunità di finanziamento delle inchieste giornalistiche. A seguire, alle ore 12:00, Laura Silvia Battaglia, giornalista freelance e direttrice delle testate della J-School Università Cattolica del Sacro Cuore, terrà un incontro su come realizzare un pitch per una redazione internazionale.

“Il giornalismo che verrà” è organizzato da Sicilian Post e Pagella Politica, in collaborazione con la Scuola Superiore di Catania e l’ASSI (Alleanza delle Scuole Superiori d’Ateneo), con i patrocini di Università di Catania, Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Accademia di Belle Arti di Catania e Isola Catania. Silver sponsor è il Gruppo Unipol. L’iniziativa, giunta alla sua settima edizione, offre parallelamente anche un percorso formativo gratuito di alto livello a studenti universitari e giornalisti.

Il festival proseguirà con appuntamenti ininterrotti fino al 7 giugno. Per informazioni sul programma completo e sugli ospiti che interverranno: www.festivalgiornalismomediterraneo.com

(In copertina: da sn Blecher, Zagni, Labouachera)

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