Destini incrociati nello spazio di un vagone: Roberto Salbitani e la metafora del treno

«Per me fotografare è stato come affiancare alla rotaia della realtà, degli accidenti in corso, quell’altra rotaia, a essa parallela, su cui correvano di riflesso alla prima i miei pensieri e le mie sensazioni mano a mano che reagendo agli accidenti della vita, prendevano una loro forma fotografica. Affidarmi alle immagini è un agire che continua a spurgarmi la mente». È così che Roberto Salbitani descrive la sua visione della fotografia nel libro Il viaggiatore parallelo. Fotografie e scritti in diretta dal treno, pubblicato nel 2019.

Nato a Padova il 7 giugno 1945, divenne fotografo e critico fotografico agli albori degli anni ’70. La sua ricerca visuale si caratterizzò fin da subito per la tendenza a pensare fuori dagli schemi e per una propensione verso il tema del viaggio e l’idea di libertà ad esso connessa. Non a caso, il soggetto prediletto da Salbitani fu il treno. «Il suo movimento rapsodico, un po’ ipnotizzante – afferma in un altro passaggio del libro Roberto – e  con la possibilità che ti concede di uscire e rientrare in te stesso, passando dal vedere interno a quello esterno allo scompartimento, dalle scenografie teatrali dei sedili alle immagini cinematiche trasmesse dai finestrini, è il veicolo ideale in questo senso. Va però detto che il treno de Il Viaggiatore Parallelo è soprattutto quello aperto di un tempo, oggi l’alta velocità tende a rinserrare i passeggeri in contenitori chiusi».

Nel corso degli anni, Salbitani si è a lungo soffermato a riflettere sugli incroci di vite e destini che avvengono quotidianamente in questo mezzo di trasporto che lo ha sempre affascinato. «Sono affezionato ai treni, – scrive nella presentazione al volume Viaggio (1974-1982) – il treno mi fa sfiorare i corpi e i gesti di persone di cui potrei in fondo disinteressarmi perché nulla mi lega a loro tranne quel casuale trovarsi vicini in un punto dello spazio, in una frazione di tempo fra infinite. Questa coincidenza di vite, destini e direzioni, che già non è più la stessa in uno scomparto più in là, che è spazzata via dal treno successivo, mi spinge ad aggrapparmi a qualcosa, a persone e vedute, spazi e tempi diversi che si compenetrano e si riflettono l’uno nell’altro. Chi erano effettivamente quelle persone, mi chiedo, quali luoghi reali scorrevano fuori dalle cornici di quelle finestre prima che io assegnassi loro un posto nel mio treno, nel mio viaggio? Guardandolo oggi, ho come l’impressione di averlo sognato questo viaggio».

 La foto presentata in questo appuntamento della rubrica fa parte del volume Il viaggiatore parallelo ed è, tra tutte, forse, quella che affascina di più. I personaggi sono tre: un uomo che contempla la donna che sta davanti a lui seduta mentre tiene un bambino in braccio che dorme. La donna, forse la moglie, ammira la vegetazione che si intravede dal finestrino. L’immagine, scattata nel periodo invernale, ci conduce, osservandola attentamente, ad una intensità dei volti non comune. Lo stesso paesaggio intravisto nello scatto non è un contorno, anch’esso alla stessa stregua dell’uomo, della donna e del bambino, è pienamente protagonista del quadro che si è creato. L’immagine ha un che di magnetico, tanto da non riuscire a staccarsene con facilità. Non è tempo perso quello che i protagonisti stanno vivendo, ma un tempo necessario per approfondire un percorso intrapreso dentro la propria esistenza. Quanti sguardi apparentemente corrispondenti, a volte, non portano a nulla di vero nella vita? Questo intreccio di sguardi, invece, con l’ammirazione del paesaggio che inevitabilmente abbraccia e unisce in modo misterioso la donna, l’uomo e il bambino sembra un sogno, eppure è all’interno del viaggio in treno la più grande benedizione che l’uomo può augurarsi. L’unione profonda tra desiderio di essere voluti bene sin dalla nascita e l’abbraccio di tutta la realtà che accudisce il desiderio per renderlo immortale. Complice anche un vigoroso bianco e nero fotografico dal quale emergono come apparizioni le persone ritratte, Salbitani è discreto, suggerisce, non si impone, semplicemente fa appello ai nostri sensi, alle nostre percezioni. Molte immagini non hanno bisogno di essere spiegate, parlano da sole.

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Fotografo, laureato in Filosofia, giornalista pubblicista. Collabora con il quotidiano "La Sicilia".

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