Diario dall’inferno: le storie dei siciliani Lorenzo Tondo e Alessio Mamo dalla Siria all’Ucraina

Il giornalista di Sciacca e il fotoreporter catanese raccontano, senza filtri, cosa significhi fare un lavoro così emotivamente impegnativo. Tondo: «Robert Capa diceva che se una foto non è abbastanza buona è perché non sei abbastanza vicino, è la stessa cosa anche per noi reporter, ma il corrispondente di guerra non è un eroe. Non sono più tornato in Ucraina perché digerire quegli orrori non è semplice. A un certo punto, ho alzato la mano». Mamo: «Spesso ci troviamo di fronte a persone che soffrono. La foto migliore deve dare più dignità possibile e portare loro rispetto»

La guerra, per raccontarla, bisogna vederla. Diventarne testimone e documentarla. Portando il corpo lì dove la gente muore. Tra l’orrore che macchia di atrocità la Storia. La nostra Storia. Perché la guerra in Ucraina, come quella a Gaza o in Siria, ci riguarda tutti. Da vicino, molto più di quanto fingiamo di non capire. Essere presenti, per informare e documentare. «Questo è il dovere di un giornalista e di un fotoreporter, corrispondenti dalle zone di guerra», come raccontano Lorenzo Tondo e Alessio Mamo, entrambi siciliani, che da anni fanno squadra per il Guardian. «Nelle redazioni oggi è una rarità potere partire sempre con lo stesso partner, con cui hai già condiviso diverse esperienze» commentano. E invece loro due, insieme, hanno documentato la crisi migratoria del Mediterraneo centrale, il dramma dei migranti che arrivano in Sicilia, la rotta balcanica, le crisi migratorie nell’est Europa, la crisi tra Polonia e Bielorussia. E di recente la guerra in Ucraina, già dopo i primi attacchi russi del 24 febbraio 2022 voluti da Vladimir Putin. Un’esperienza professionale e umana che hanno condiviso fino allo scorso febbraio 2024 e che ripercorrono nel loro “Diario ucraino” edito da Contrasto.

«Eravamo arrivati in Polonia per coprire l’esodo dei rifugiati ucraini che scappavano dal loro Paese, ma a un certo punto il Guardian ci ha chiesto di entrare in Ucraina, per dare manforte ai nostri colleghi che si trovavano già lì, e questo ci ha portato nel cuore del conflitto»

Lorenzo Tondo

Immagini e parole, parole e immagini. Che con potenza e autenticità trafiggono il lettore, facendogli vivere il dolore, la fatica, l’insensatezza del fronte, soprattutto per gli innumerevoli civili massacrati dal conflitto. Dai conflitti. «Eravamo arrivati in Polonia inizialmente per coprire l’esodo dei rifugiati ucraini che scappavano dal loro Paese» racconta Lorenzo Tondo, giornalista originario di Sciacca. «A un certo punto il Guardian ci ha chiesto di entrare in Ucraina, per dare manforte ai nostri colleghi che si trovavano già lì, e questo ci ha portato nel cuore del conflitto». Per due anni lo hanno seguito, raccontandolo Lorenzo e fotografandolo Alessio. «Senza che parole e immagini si alterassero a vicenda: il mio testo non era la didascalia delle foto di Alessio, così come le sue foto non facevano da corredo al mio racconto, ma le due parti si uniformavano». Perché «lavorare assieme per me e Lorenzo significa anche completarci» aggiunge il fotogiornalista catanese Alessio Mamo. «Spesso è capitato che Lorenzo vedesse delle cose da fotografare di cui io non mi accorgevo, come è capitato che io abbia parlato con delle persone che secondo me lui doveva intervistare perché facevano parte di quel racconto. Lavoriamo insieme ormai dal 2017 e questo ci ha permesso di affinare il nostro lavoro».

La copertina di “Diario Ucraino”, il libro di Lorenzo Tondo e Alessio Mamo (Contrasto, 2024)

DALL’UCRAINA A GERUSALEMME, PASSANDO PER LA SIRIA. Una volta entrati in Ucraina, i loro reportage sono andati avanti fino a gennaio 2024, dove finisce il loro Diario. Anche se Mamo è stato lì fino a un mese fa, mentre Tondo si è spostato a Gerusalemme per seguire la crisi tra Palestina e Israele. Centinaia di altri giornali ed emittenti televisive, infatti, hanno trasferito i loro corrispondenti di guerra da Kiev a Gerusalemme, dopo l’attacco di Hamas in Israele e la conseguente risposta dell’esercito israeliano su Gaza. «Questo ha fatto scemare l’attenzione sul conflitto in Ucraina e ha creato un grossissimo problema» commenta Tondo. «Quello che è successo in Ucraina non aveva precedenti, ma anche ciò che stava succedendo in Israele e in Palestina non ne aveva. Sono due guerre diversissime, anche sotto il profilo della copertura giornalistica: Zelensky ha aperto il territorio ai giornalisti dando la possibilità ai nostri occhi di posarsi sui massacri di Charkiv, di Cherson, sulle fosse comuni di Buča, perché non aveva nulla da perdere. Aveva solo da guadagnare mostrandoli all’occhio dei cronisti, cosa che non è successa invece a Gaza, dove noi giornalisti non possiamo entrare. Di conseguenza, è un conflitto non conflitto per chi lo racconta, per chi vive a Gerusalemme costretto a raccontare una guerra che avviene a 90 miglia di distanza, ed è devastante per tutti i giornalisti palestinesi che invece sono bloccati a Gaza e che sono diventati, loro malgrado, l’unica fonte di informazione in questo momento». Di fronte a scenari bellici che non si ridimensionano, addirittura si espandono sconvolgendo tutti gli equilibri mondiali. Insieme ai recentissimi fatti della Siria, dove la scorsa settimana è crollato il regime degli Assad, durato cinquant’anni. Molte sono le connessioni tra la situazione siriana e quella tra Israele e Palestina, tra Russia e Ucraina. Mamo e Tondo sono stati anche in Siria, nel 2023 subito dopo il terremoto. E sono riusciti a intervistare il capo dei ribelli al-Jolani. «Per me è stata un’esperienza forte entrare a Idlib, la roccaforte dei ribelli» commenta Lorenzo. «Era praticamente impenetrabile, da qualsiasi parte del territorio, ma il terremoto ci ha dato l’unica occasione per entrarvi. Era dilaniata da un’epidemia iniziale di colera, dal terremoto che si era abbattuto sulle case accanto ai campi dei rifugiati che scappavano dal regime di Assad. Quando abbiamo avuto l’opportunità di intervistare al-Jolani, per me era impossibile, molto improbabile quantomeno, che in quel momento da quella roccaforte potesse partire un avanzata addirittura fino a Damasco. Hanno contribuito alla caduta di Assad le difficoltà degli hezbollah in guerra con Israele e il ruolo dell’Iran e della Russia».

Mentre in Ucraina Zelensky ha aperto le porte ai media, facilitando la copertura dei massacri, a Gaza l’accesso ai giornalisti è stato negato, creando una profonda difficoltà nella narrazione dei fatti»

Lorenzo Tondo

«Nessuno si aspettava che gli Assad cadessero così velocemente» commenta Alessio. «Sull’attuale situazione in Siria è ancora troppo presto per dare un giudizio, però ho un caro amico siriano di cui ho seguito il viaggio lungo la rotta balcanica, nel 2015, fino in Germania. Se le cose dovessero andare come si spera, se veramente gli Assad non ci saranno più, è molto probabile che l’anno prossimo Somar possa ritornare a Damasco, a dieci anni dal viaggio verso l’Europa. La sua è la storia di milioni di siriani, sparsi in questo momento in giro per il mondo». Mentre quelli che cercano di lasciare la Siria adesso, si trovano di nuovo le porte chiuse dall’Europa. «Questa storia di guerra ha inizio in un confine» riflettono Mamo e Tondo. «Siamo arrivati in Ucraina inizialmente per raccontare l’esodo dei rifugiati ucraini, però qualche chilometro più a nord i siriani venivano presi a calci e a manganellate dai poliziotti polacchi. Gli stessi che accoglievano a braccia aperte i rifugiati ucraini, con tè caldo e coperte, mentre lasciavano i siriani a morire di freddo, anche donne incinte, nelle foreste al confine con la Bielorussia. Non era sbagliato il modo in cui venivano trattati gli ucraini, era sbagliato il modo in cui venivano trattati i siriani che scappavano dallo stesso nemico: le bombe russe date ad Assad».

Il fotoreporter Alessio Mamo

IL VALORE DELLA TESTIMONIANZA. Anche questo hanno raccontato Lorenzo e Alessio. Perché essere un corrispondente di guerra significa essere in prima linea, sempre. Andare, restare, guardare, verificare. E poi riportare, scattando istantanee con la macchina fotografica o con la tastiera del pc. Con entrambe, se possibile. Come fanno loro, condividendo un’esperienza violenta come la guerra, in cui la lucidità deve fare i conti con la paura e l’adrenalina. «Noi abbiamo la fortuna, rispetto a tanti altri colleghi, di viaggiare insieme e di essere affiancati dall’interprete, da un uomo della sicurezza e dall’autista» spiega Tondo. «Rischiamo la pelle, a volte senza accorgercene, perché spesso in guerra succede che ci si abitui e che la soglia di percezione del rischio si abbassi, al punto che non ti rendi conto di quello che stai vivendo. Stare insieme, invece, ti aiuta anche a ricordarti dove ti trovi, che sei in una zona di guerra e che non c’è un luogo realmente sicuro». Il loro lavoro meticoloso, messo insieme, restituisce bene il senso di queste parole. Con una narrazione tridimensionale che è puntuale ricostruzione dei fatti – preziosissima nell’era delle fake news costruite dalla propaganda – ma anche emozione complessa e sincera.

«Per alleviare un po’ la sofferenza di mia madre di solito scattavo una bella fotografia, di Kiev o di un tramonto, e gliela mandavo. C’è tanta bellezza che non viene raccontata e ricordarcene aiuta anche noi».

Alessio Mamo

«Robert Capa diceva che se una foto non è abbastanza buona è perché non sei abbastanza vicino, è la stessa cosa anche per noi giornalisti. Sei costretto a portare il tuo corpo davanti a quegli orrori, affinché i tuoi occhi possano poi mostrare al mondo quello che hai visto» prosegue Tondo. «Mi è capitato di interrogarmi sul valore della testimonianza e sul senso del nostro mestiere, mentre guardavo il corpo di una ragazzina di 12 anni ritrovato in una fossa comune a Buča. Un lenzuolo bianco avvolgeva il suo corpo, aderiva perfettamente, mi ricordava il Cristo velato custodito nella Cappella di Sansevero a Napoli. Si dice che sotto quel velo scolpito i visitatori intravedono le loro paure più recondite e io sotto il lenzuolo bagnato che avvolgeva quella bambina non ho potuto fare a meno di pensare ai miei figli». Mentre sul telefonino rimbalzavano da Telegram e dai talk show italiani messaggi che «mettevano in dubbio l’orrore che i nostri occhi vedevano, come se il massacro di Buča fosse stato un teatrino messo su dagli ucraini per impietosire l’opinione pubblica. Ma noi sentivamo l’odore tremendo di quei cadaveri putrefatti, ascoltavamo il pianto dei loro familiari». «Le parole di Capa per me sono fonte di un eterno dilemma» aggiunge Mamo «perché spesso ci troviamo di fronte a persone che soffrono, che hanno perso da poco i loro familiari. Il mio compito, in quel caso, è di portare a casa la foto migliore, ma nel senso di dare più dignità possibile alle persone che sto immortalando e di portare loro rispetto». Un grande corrispondente di guerra, Ernie Pyle, vincitore del premio Pulitzer e morto nella battaglia di Okinawa nel 1945, diceva: “non mi pagano per essere obiettivo, ma per scrivere tutto ciò che vedo con tutta la mia anima e tutto ciò che sento con tutta la mia forza”. Ed «è questo quello che noi abbiamo tentato di fare» commenta Tondo, citandolo. Per andare oltre i meri fatti, affondare dentro le storie, dentro la Storia. E contribuire a fare emergere crimini di guerra atroci, che altrimenti resterebbero sepolti nei boschi, sotto quella terra che giorno dopo giorno non smette di restituire cadaveri.

© Alessio Mamo

FARE I CONTI CON L’ORRORE DELLA GUERRA. Ma dopo che ci si avvicina così tanto, come si fa a prendere la giusta distanza da quello che si è visto, a fare i conti con le proprie emozioni? «Semplicemente, io non ci sono mai riuscito, perché scrollarsi di dosso quell’orrore è praticamente impossibile» risponde Lorenzo. «Credo che nella vita di un giornalista o un fotoreporter, di qualsiasi essere umano, ci sia un primo e un dopo la vista di una fossa comune, è una di quelle cose che ti travolgono, che ti porterai dietro per sempre. A noi la guerra ha dato l’opportunità di viverla da testimoni e non da vittime, questo è un privilegio rispetto a chi quell’orrore lo vive ogni giorno. Purtroppo però, tornati a casa, la tua mente torna sempre lì. Il corrispondente di guerra non è un eroe, siamo persone con le nostre debolezze e io non mi vergogno di dire che non sono più tornato in Ucraina perché digerire quegli orrori e quella pressione professionale non è semplice. A un certo punto, ho alzato la mano». «Un aiuto importante ci arriva dalle nostre famiglie» aggiunge Mamo. «Sappiamo, Lorenzo e io, quanto le nostre famiglie ci siano di supporto, anche se si parla poco di ciò che lasciamo a casa quando partiamo. La mia compagna, per fortuna, fa il mio stesso lavoro, ma per alleviare un po’ la sofferenza di mia madre di solito scattavo una bella fotografia, di Kiev o di un tramonto, e gliela mandavo. C’è tanta bellezza che non viene raccontata e ricordarcene aiuta anche noi».

«Cos’è la guerra? Sofferenza di gente che vive in quei contesti. Ma noi cerchiamo di raccontare anche la vita che continua nonostante tutto. Le nostre sono comunque storie di persone».

Alessio Mamo

Nel loro Diario ucraino questo doloroso, inaccettabile, pezzo di Storia è tutto documentato. Chiaro. Lucido. Una ricostruzione attenta, efficace, che mette ordine. Tenendo sempre le persone al centro e senza mai mollare il fattore umano, per restituire anche il disperato tentativo dei civili di vivere una parvenza minima di quotidianità. In mezzo ai carri armati o a un cimitero di missili. «Del resto, cos’è la guerra?» chiede Alessio. «Purtroppo è sofferenza di gente che vive in quei contesti e noi cerchiamo di raccontare anche la vita che continua nonostante la guerra. Le nostre storie sono comunque storie di persone». Quelle che Tondo e Mamo hanno incontrato in Ucraina raccontano di un popolo che, in questa guerra, ha saputo sostituire il terrore iniziale con la resilienza e l’entusiasmo per le prime ritirate della Russia, ma che adesso fa i conti con la frustrazione e la sofferenza. «Sono un po’ le fasi che hanno caratterizzato tantissimi altri conflitti» commenta Lorenzo. «Ricordo, prima di entrare in Ucraina, queste donne che scendevano dai treni in arrivo in Polonia da Leopoli, spaesate, confuse, piangevano. Ma quello che terrorizzava di più gli psicologi, in quel periodo, era il silenzio dei loro figli, bambini che camminavano a testa bassa  e che sembravano non sentire più nulla, scaraventati dai propri letti in una notte in cui nessuno pensava che la Russia avrebbe portato nel cuore dell’Europa una guerra anacronistica. E seppure a un certo punto si è diffusa una sorta di rivincita, di orgoglio in questo popolo ucraino parzialmente disunito prima della guerra, c’è una cosa che sin dall’inizio ne ha contraddistinto le emozioni: il trauma. E il trauma viene tramandato da padre in figlio, viene ereditato dalle altre generazioni. È già successo in Bosnia, io e Alessio lo abbiamo visto in un campo profughi che ancora oggi ospita le famiglie sopravvissute al massacro di Srebrenica. I loro nipoti, che all’epoca non era nemmeno nati, soffrono di alcolismo, di depressione, sono quasi tutti disoccupati. È successo anche in Ruanda e succederà purtroppo anche in Ucraina. Questo fanno le guerre e comunque andrà a finire, qualsiasi accordo verrà trovato, è una cosa che nessun accordo di pace potrà cancellare».

Foto di copertina: Lorenzo Tondo © Alessio Mamo

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Ornella Sgroi è giornalista, critica cinematografica, scrittrice e sceneggiatrice. Collabora con il Corriere della Sera, la trasmissione “Cinematografo” di Rai Uno di Gigi Marzullo e alcuni programmi di Tv2000 (“L’Ora Solare” condotto da Paola Saluzzi e “Di Buon Mattino”). Si occupa di Cinema da vent’anni, e anche di Cultura, Spettacolo e Sociale. Il suo ultimo libro è “È la coppia che fa il totale. Viaggio nel cinema di Ficarra e Picone” (Harper Collins, 2020)

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