«Qualcuno dice che i caltabellottesi sono per metà uomini e per metà uccelli, credo non sia distante dalla verità questa affermazione. Siamo abituati ad avere spazi aperti davanti, a guardare dall’alto, a convincerci di dominare la valle». Scrive così Ezio Noto nel libro Mio padre non conosce la mia musica. E lui, caltabellottese doc, sembra confermare la leggenda che richiama quella di Dedalo che sarebbe passato proprio da queste parti, tant’è che al personaggio della mitologia greca è dedicato anche il Festival ideato da Ezio Noto. Con i piedi ben piantati nella storia più antica della Sicilia, dall’alto del paesino agrigentino osserva e scruta il mondo. Attinge alla memoria per far rivivere eroi dimenticati con la poesia e con il canto, librandosi con le ali di un rapace sui vari generi musicali. E attorno a sé scopre il Paradiso, come suggerisce il titolo del suo nuovo album.

«Lu Paradisu è ccà è un titolo metaforico. Il Paradiso te lo crei tu stesso, con le persone che ti sono vicine con i ricordi, con quello che fai»

«Lu Paradisu è ccà è un titolo metaforico», spiega. «Il Paradiso te lo crei tu stesso, con le persone che ti stanno vicine, con i ricordi, con quello che fai». E fra i ricordi di Ezio Noto non può mancare Rosa Balistreri, uno dei suoi punti di riferimento, che nella canzone Rosa sogna di «stringere al petto e coccolarla in una giornata d’inverno per farla stare serena e tenerla lontana dalle sue angosce e dalle sue battaglie». È quella Rosa che negli anni Ottanta emozionò il ragazzino Ezio cresciuto giocando con l’organino Bontempi regalatogli dal nonno e accorso a vederla in concerto al cinema Pipìa, dal nome della famiglia proprietaria, che oggi è tristemente chiuso.

E fra le foto ingiallite dell’album dei ricordi c’è anche il meno popolare Calogero Marrone, un favarese impiegato comunale all’ufficio anagrafe di Varese, che salvò centinaia di ebrei fornendo loro documenti falsi. «È una storia che ho scoperto leggendo il libro Appunti di Sicilia di Antonio Fragapane», racconta Noto. «Mi sono imbattuto in questo personaggio che era stato costretto a lasciare Favara a causa del suo antifascismo. Si trasferisce a Varese e lì vince il concorso per entrare al Comune, diventando capo dell’ufficio Anagrafe. Nel 1944, durante l’occupazione nazifascista, rilasciò centinaia di documenti falsi ad ebrei e antifascisti. Scoperto, fu internato nel campo di concentramento di Dachau, dove morì di stenti». La vicenda viene rievocata nel brano Calogero Marrone, a chiusura dell’album, una intensa ballata pianistica, nella quale Ezio Noto si cala nella canzone d’autore a metà tra Franco Battiato e Ivano Fossati.

Tra i personaggi cantati da Noto, il giovane minatore Angelo Damiani, morto a Marcinelle: «La leggenda racconta che il ragazzo sia diventato una tarantola e che continui a cantare il suo amore per Ninnella»

È invece di Sciacca Cosimo Barna, pittore scomparso tre anni fa, famoso per i suoi quadri che hanno sempre per protagoniste le “angiove”, le acciughe. Che Ezio Noto libera, facendole volare come parole nella divertente filastrocca Li pisci di Cosimu, che sembra registrata sott’acqua. E poi c’è un minatore di 19 anni, Angelo Damiani, morto nel disastro minerario di Marcinelle, in Belgio, senza aver mai fatto l’amore con la sua ragazza lasciata al paese, Ninnella. Furono 262 i minatori che persero la vita in quella sciagura, 136 italiani. «Angelo era abruzzese, ma in quella tragedia furono molte le vittime siciliane», rammenta Ezio Noto, ispiratosi alla composizione donatagli dal poeta Mario Ciola. «Nella canzone Angelo narra la sua storia, la separazione, il viaggio, il suo grande amore, la disgrazia. La leggenda racconta che, dopo l’incidente, il ragazzo sia diventato una tarantola e che da allora continua a cantare il suo amore per Ninnella», che dà il titolo al brano, una taranta triste, una danza di dolore, cantata in diversi dialetti «tutti del Sud, come gran parte delle vittime di Marcinelle».

La cover del disco

È profondo l’amore che Ezio Noto nutre per la sua terra e i suoi conterranei e che esprime anche dando voce con la sua musica a poeti locali, come Piero Carbone di Racalmuto, autore di Sciroccu di l’Arma, introdotto dal canto in inglese di Raffaella Daino, o come Giuseppe Giovanni Battaglia di Aliminusa, che ha ispirato Lingua lippusa, struggente, scarna, essenziale, sostenuta da una fisarmonica e puntellata dal sax di Marco Caterina, tra le perle dell’album. Un amore che si trasforma in denuncia davanti al degrado e alle ingiustizie che fanno soffrire la sua terra. San Piddirinu Blues è il lamento di Ezio Noto per lo stato di abbandono in cui versa il convento di San Pellegrino che domina dall’alto il paese di Caltabellotta: «Progetti faraonici, si parlò perfino di una funivia, ma non si è mai fatto nulla di serio per rivalutarlo». Nel brano l’ultimo urlo del dobro del compianto Gai Bennici, straordinario chitarrista agrigentino scomparso quattro anni fa. «È la sua ultima registrazione», si commuove Ezio Noto. «Era già molto malato quando abbiamo fatto quella session».

«Ho avuto la fase pop-rock, così come quella in cui mi sono appassionato a Brien Eno e Wim Mertens. C’è sempre però il dialetto siciliano a unire tutto»

E poi la presa di coscienza contro la mafia nel ricordo di Peppino Impastato e della sua radio nella canzone Radio Aut, un pop-rock dal finale da brividi con la voce di Valeria Cimò che insegue The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd. «È un brano che risale al 2002 e che suoniamo da sempre dal vivo, ma che mai avevo messo su un album. Lo registrammo a Scordia nello Studio Sonoria di Cavalli e lo presentammo a Sanremo rock». Un «disco strabico», come commenta sorridendo lo stesso Ezio Noto, questo Lu Paradisu è ccà. Un album variegato, che spazia tra i generi musicali. «Gli ascolti si infilano nei dischi», aggiunge. «Si viene influenzati dai dischi del momento. Ho avuto la fase pop-rock, così come quella in cui mi sono appassionato a Brian Eno e Wim Mertens. C’è sempre però il dialetto siciliano a unire tutto».

Hjatu, un breve soffio che arriva a metà dell’album sembra fare da spartiacque fra una prima parte più legata alla musica popolare ed alle sonorità etno (il marranzano che incontra il mondo arabo e balcano nella title track) e una seconda che s’immerge in atmosfere più moderne, dal rock al violoncello d’avanguardia di Mauro Cottone nella ninna nanna pacifista Pùppiti nterra, dalla chitarra alla Neil Young di Rosa alla canzone d’autore nazionale.

Ezio Noto firma il disco insieme con il suo gruppo Disìu, attorno al quale ruotano Totò Randazzo (basso), Libero Reina (chitarra e cori), Valeria Cimò (tamburi, metalloforo e cori), Eleonora Tabbì (cori), Pino Tortorici (fisarmonica), Roberto Ligammari (batteria), Mauro Cottone (violoncello). Come tutti i dischi usciti in questo periodo, Lu Paradisu è ccà fa bella mostra sulle piattaforme streaming e sugli store digitali in attesa di uscire allo scoperto. «Il disco avremmo dovuto presentarlo lo scorso maggio all’auditorium della Rai a Palermo», rivela Ezio Noto. «Poi i ritardi nella pubblicazione hanno fatto slittare la data a novembre. Ora è il Covid a bloccarci. Aspettiamo quando la pandemia ci restituirà le nostre libertà».

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