È stato definito il Morricone della pubblicità. Ogni giorno, mentre guardiamo la tv, è più facile che incappiamo in una sua canzone piuttosto che in una di Vasco Rossi o di Blanco. Pugliese di Manduria, ha cominciato a suonare da bambino sul pianoforte di nonna Carmelina, un dito alla volta. Si è formato a Boston, studiando improvvisazione jazz al Berklee college of music, e ha ricevuto il diploma di laurea dalle mani di Quincy Jones. Ha collaborato con Andrea Bocelli, Ennio Morricone, Paolo Conte, Pharoah Sanders, Joan As Police Woman. Ha scoperto e rivelato a tutta Italia il talento di Malika Ayane ed è stato l’editore di Un meraviglioso declino, l’album di debutto di Colapesce. È una sorta di “re Mida” della discografia italiana. Anche se lui preferisce paragonarsi a Forrest Gump. Eppure sulla copertina della monografia appare con il capo coronato dal telaio d’un tamburello e tutto quello che tocca diventa oro. Come la sua ultima produzione, The Gathering, vincitrice della Targa Tenco Album collettivo a progetto. Anche in questo caso preferisce stare all’ombra, nel chiuso degli studi lombardi della sua casa di produzione “Quiet, please!”, un capolavoro di design, immerso nel bianco assoluto in omaggio alla leggendaria astronave di 2001: Odissea nello spazio. Ogni tanto, tuttavia, anche se timidamente e nascondendosi dietro al nome di una band o di un progetto, si rivela: Ferdinando Arnò. «Lasciatemi nell’ombra», ride al telefono dalla Puglia. «E poi io sono il produttore, sto dietro, nella sala macchine». The Ghatering è il risultato dell’incontro di un formidabile collettivo di musicisti sparsi in tre Continenti, al centro del quale ci sono i tamburi di Alfio Antico. Un disco ideato e assemblato in Puglia. «Ero insieme con Alfio, avevamo fatto qualcosa di bello e, allora, gli chiesi. “Perché non partecipiamo al Premio Tenco?”. E abbiamo registrato l’album. È nato un progetto dal respiro internazionale, che comunque mantiene un suono mediterraneo. Io e Alfio siamo come due Forrest Gump».

«La mia idea era quella di partire dal ritmo, dalle percussioni di Alfio Antico, dalla sua ritmica ancestrale e futurista al tempo stesso. Da lì, come uno stilista, ho cercato di abbinare gli abiti, i colori, i profumi adatti»

Ferdinando Arnò
Ferdinando Arnò

Da quanto tempo conosce Alfio Antico?
«Da una vita. Dal 1992, forse da prima. L’ho incontrato mentre faceva l’attore in un’opera shakespeariana, La dodicesima notte, per la regia di Jérôme Savary. Io mi occupavo delle musiche. Lui faceva il mare con il tamburo e mi è rimasto impresso nella mente. Faceva l’attore e il musicista. Poi l’ho chiamato più volte per fare pubblicità. L’ho sempre ammirato, ritengo che le sue percussioni siano totalizzanti».
Attorno ai tamburi a cornice di Alfio Antico sono stati riuniti artisti straordinari: come il busker Daniel Gonora, cantante e chitarrista non vedente, originario di Harare in Zimbabwe, oppure Joseph Chinouriri, anche lui dallo Zimbabwe, leader di una spettacolare sezione di fiati. E poi, dagli Stati Uniti, una splendida improvvisazione del percussionista Gabriel Jarrett, figlio di Keith, l’energia dei Cha Wa, band di nativi americani dall’anima funk, e la voce di Sandy Chambers, l’hip-hop newyorkese di Dante Lennon, il flow emozionale del rapper londinese Brother May, la voce magnetica di Jon Kenzie dei Common Mama, Gaetano Carrozzo con la Moka Band, la ritmica di Angelo “Japan” De Grisantis, e, nel brano Preta, scritto da Ferdinando Arnò e Joe Barbieri, la recitazione dell’attore napoletano Lino Musella. A chiudere il cerchio, il frammento di una versione a cappella di The Click Song, con il Simple Impact Choir, intonata da Miriam Makeba durante una conferenza stampa in Italia, e il campionamento del canto antico dell’artista salentino Uccio Aloisi, che canta Santu Lazzaru.
«Sono collaborazioni nate via mail o Instagram», racconta Arnò. «La mia idea era quella di partire dal ritmo, dalle percussioni di Alfio Antico, dalla sua ritmica ancestrale e futurista al tempo stesso. Da lì, come uno stilista, ho cercato di abbinare gli abiti, i colori, i profumi adatti. Il ritmo e il riff delle bande, che Alfio sa fare bene perché ha un twist in più, sono gli elementi caratterizzanti del disco. Penso sia venuta fuori qualcosa di nuovo e di buono. Un Mediterraneo 2.0».

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