Fondamentale, ma non sempre tutelato: le sfide del fact checking mediterraneo

Dal Libano alla Spagna, passando per la Grecia: le voci di chi verifica i fatti e resiste alla disinformazione hanno fatto da tema conduttore per l’anteprima che ha dato il via al Festival del Giornalismo mediterraneo. La sicurezza personale e la sostenibilità economica i grandi temi da affrontare per salvaguardare il lavoro di chi, giorno dopo giorno, si prodiga per difendere la verità e la democrazia

«Spesso subiamo minacce per la nostra sicurezza, ci sono arresti agli aeroporti, i nostri dispositivi vengono sorvegliati. È difficile lavorare ogni giorno in queste condizioni. Dopo il 2025, con la crisi finanziaria e l’interruzione dei programmi di verifica da parte di Meta, è diventato ancora più complicato. Ma i fact checkers sono fondamentali e quindi dobbiamo continuare a essere un network, una rete, collaborare e agire in modo tale da mantenere questo stato». A parlare è Saja Mortada, giornalista investigativa libanese e manager dell’Arab Fact-Checkers Network, una rete di 36 organizzazioni attive in 12 paesi di lingua araba. La sua è solo una delle voci che si sono alternate lo scorso 6 maggio nel panel “Il fact checking nel Mediterraneo”, anteprima del Festival del Giornalismo Mediterraneo organizzato da Sicilian Post e Pagella Politica presso Villa San Saverio, sede della Scuola Superiore di Catania. Un appuntamento che ha dato spazio alle testimonianze di chi, nel Mediterraneo, combatte quotidianamente la disinformazione. Tra i protagonisti del panel anche Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica e Facta News; Stamos Archontis, editor-in-chief della realtà greca FactReview; e Marina Sacristán, rappresentante della spagnola Maldita, una delle principali organizzazioni indipendenti di fact-checking in Europa.

Tre paesi, tre approcci: come si verifica la verità. La lotta alla disinformazione cambia volto a seconda del contesto, ma ciò che si mantiene cruciale ad ogni livello è l’alto grado di attenzione necessario. «Abbiamo creato un account Twitter nel 2017 per far riferimento alle parole corrette dei politici e capire cosa stavano facendo, quindi avere una sorta anche di archivio di tutto quello che accadeva. Poi è diventato qualcosa di più importante che aveva a che fare con la verifica delle informazioni e dopo un processo di crowdfunding siamo diventati un’organizzazione stabile», ha raccontato Sacristán. Oggi Maldita.es lavora a stretto contatto con cittadini e media, offrendo supporto anche tramite chatbot WhatsApp, consentendo ai cittadini di segnalare dei contenuti da verificare, rendendo il pubblico parte attiva del processo di fact-checking. Uno dei casi di lavoro più emblematici raccontati da Sacristán riguarda un video dell’ex ministra dell’ecologia, oggi vicepresidente della Commissione Europea, accusata di aver usato un jet governativo per raggiungere un meeting sul cambiamento climatico. La notizia aveva sollevato un polverone internazionale, ma era infondata: «Abbiamo dovuto verificare tutto, la geolocalizzazione del jet, il registro delle attività del consiglio cittadino, le distanze in città, per scoprire che era falso», afferma Sacristán.

Dalla Grecia, Archontis ha parlato dell’importanza di poter riuscire a lavorare sulle fake news facendo riferimento a dati ufficiali, studi su larga scala e contattando ricercatori. Ha raccontato di un lavoro di verifica condotto dopo l’approvazione della legge che permette l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Alcune fake news sostenevano un aumento delle molestie sui minori in tali famiglie: «Abbiamo analizzato i valori che avevano a che fare con le molestie subite da bambini presi in affido da coppie dello stesso sesso. La conclusione è che, secondo la comunità scientifica, virtualmente le coppie omosessuali non hanno avuto alcuna differenza rispetto alle coppie eterosessuali in questo contesto».

Giovanni Zagni dialoga con Saja Mortada, in collegamento dal Libano

E infine, il fronte caldo del medio Oriente. Dopo il 7 ottobre 2023, durante i bombardamenti su Gaza, l’Arab Fact-Checkers Network ha coordinato oltre 70 organizzazioni di comunicazione per verificare le informazioni circolanti in più di dieci lingue, tra cui l’italiano: «Abbiamo iniziato a fare tutto ciò che era nel nostro potere per fare in modo di verificare tutte le informazioni e segnalare quelle errate, anche per tutte le organizzazioni mondiali», ha spiegato Saja Mortada, che ha anche parlato dei problemi di sicurezza per chi opera in queste aree di conflitto dove la circolazione di informazioni non veritiere è molto frequente.

Sicurezza personale, sostenibilità economica e piattaforme: i grandi temi del presente. Il lavoro quotidiano dei fact-checker è reso sempre più difficile da una serie di ostacoli che rendono complicato operare in maniera sicura o economicamente sostenibile. Saja Mortada ha parlato apertamente dei rischi che affrontano i colleghi in Medio Oriente: «Chi lavora nella nostra rete anche in questo momento potrebbe avere un rischio di bombardamento, spesso non hanno accesso a cibo, acqua, una serie di cose che rendono la situazione molto tesa e difficile, ma il loro lavoro è fondamentale».

Accanto ai problemi di sicurezza, una delle sfide principali riguarda la sostenibilità economica delle organizzazioni indipendenti. «Precedentemente in molte occasioni abbiamo collaborato su progetti differenti con le piattaforme social, ma l’attuale ambiente politico ora sta evitando che queste collaborino con noi e stanno anche considerando di avere delle soluzioni più economiche, più automatizzate, che potrebbero essere non sufficienti» afferma Marina Sacristán. Il riferimento è alla scelta di Meta di annullare il programma di Fact Checking che permetteva agli esperti di agire sui post falsi a seguito delle segnalazioni degli utenti. Una scelta già attuata negli Stati Uniti e che, secondo molti operatori, potrebbe presto estendersi anche in Europa. Decisione che ha avuto un impatto significativo sui programmi di fact-checking, che da tempo richiedono la necessità di un intervento da parte delle istituzioni nel finanziamento delle loro organizzazioni.

Marina Sacristàn, in collegamento dalla Spagna

Un futuro più istituzionalizzato, la richiesta di fondi europei. Sullo sfondo dei problemi legati alla sostenibilità economica emerge con forza la richiesta di maggiore tutela istituzionale, in particolare da parte dell’Unione Europea. Secondo Marina Sacristán, fact-checker spagnola, l’UE ha in passato mostrato attenzione al settore: «In generale l’UE supporta il lavoro che stiamo facendo – ha spiegato – molte comunicazioni hanno sostenuto il ruolo del fact-checking». Tuttavia, ha aggiunto, i fondi europei a disposizione sono spesso vincolati a progetti temporanei e piuttosto generici, legati a concetti ampi come la democratizzazione e la tutela della democrazia: «Qualcosa di molto astratto, che riguarda la salvaguardia delle informazioni, e magari le organizzazioni di fact-checking potrebbero essere un’opportunità per agire in questo senso». Secondo la spagnola, infatti, ciò permetterebbe di avere una struttura più solida. Una posizione condivisa anche dal giornalista greco Stamos Archontis, secondo cui il finanziamento previsto dall’Unione Europea per la verifica dei contenuti, pur esistente, «in termini relativi è insufficiente». Archontis ha ricordato come le organizzazioni indipendenti di fact-checking siano spesso le prime fornitrici di dati ad altre organizzazioni per l’analisi della disinformazione, e ha ribadito: «Supportare queste fonti primarie dovrebbe essere una delle priorità principali per l’UE».

(In copertina: il direttore di Pagella Politica Giovanni Zagni introduce l’evento. Foto di Giuseppe Tiralosi)

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Catanese, 22 anni, laureato in Scienze e Lingue per la Comunicazione. Collabora con il Sicilian Post da fine 2023. Si interessa di cultura, politica, arte, attualità e sport.

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