Eccolo lì, Salvatore Rodolico, seduto a ridosso delle barche tirate in secco, dall’alto dei suoi quasi 84 anni. Accanto a lui Giovanni, il figlio «che è più speciiiale di me perché è più giovane», come lo presenta l’anziano padre. Si tratta della famiglia Rodolico, i più antichi mastri d’ascia di Sicilia che per ben cinque generazioni hanno realizzato barche ad Aci Trezza. Oggi non costruiscono più pescherecci, ma il loro cantiere è sempre lì, sul litorale trezzoto, aperto a visite e dimostrazioni su miniature del lavoro del maestro d’ascia. Citati ne “I Malavoglia”, apparsi in “La Terra trema” di Luchino Visconti, i Rodolico sono un pezzo della storia del borgo marinaro e il capofamiglia, Salvatore Martino (nato proprio l’11 novembre 1937), è un Patrimonio Umano Vivente della Regione Siciliana ed è stato iscritto nell’albo d’onore dei Maestri d’ascia.

Talento insuperabile. «Per poter costruire imbarcazioni di una certa grandezza, fino a 150 tonnellate, occorre superare un esame della Capitaneria di Porto: da cinque generazioni la mia famiglia lo ha sempre fatto» racconta felice e con umiltà Salvatore Martino Rodolico. Giovanni aggiunge: «Mio padre ha la prima elementare, io la terza media, ma abbiamo sempre ottenuto la licenza per costruire barche». «Per realizzare le imbarcazioni ci vogliono pochi macchinari, ma tanto ingegno: dalle barche a remi più piccole ai grandi pescherecci a motore, il cantiere Rodolico non ne ha mai sbagliata una»: così l’artista Alice Valenti vanta la famiglia di maestri, con cui collabora dipingendo barche e modellini con uno stile tipicamente siciliano, simile a quello dei carretti.

Una tecnica secolare. A confermare l’abilità nel mestiere dei Rodolico vi sono i numeri: «La più antica fattura di realizzazione di una barca qui ritrovata risale al 1808: 213 anni di attività» racconta Salvatore con la sua sigaretta in bocca. «Un’altra risale al 1908 – continua – e riguarda la costruzione di una barca commissionata dall’Università di Catania per raggiungere le Isole Ciclopi». Mostrando un compensato con incisioni numeriche e grafiche, Salvatore e Giovanni spiegano: «Questo era il nostro computer: un compensato su cui incidere i progetti delle barche. Prima di costruire un’imbarcazione bisognava farne un disegno per il Ministero della Marina Mercantile, per la Capitaneria di Porto e per l’ingegnere statale che l’avrebbe controllata». Tutte le barche dei Rodolico hanno sempre passato il collaudo, senza problemi di sbilanciamento. «Per evitare che una barca si sbilanci – spiega Giovanni – bisogna procedere con ordine. – Prima si taglia il legname con lo scuriuni (“che scorre”, ndr: sega a nastro), poi la chiglia, i paleddi a incastro, diritto di prua, la linea d’asse, il timone, la larghezza un terzo della lunghezza…». La parte più complessa è il fissaggio della cinta, che circonda la barca: «La cinta deve essere posizionata subito con la giusta inclinazione, altrimenti una volta fissata non si può più sistemare. Per questo si usa il cattabuni (ndr: squadra falsa) per prendere la cattabunata (ndr: l’inclinazione della cinta). Poi si procede con il ribuzzo per piantare i chiodi in modo invisibile, si stucca e si poggia il cabinato sul ponte di coperta».

Il tocco finale. Finita la parte tecnica, si procede con quella artistica: «Sulle barche – spiega Alice – si dipingono simboli: le sirene, seducenti e mortifere come il mare, l’occhio che indovina la rotta, pesci spada e granchi di buon augurio per un pescato ricco, cavallini che diano velocità». Giovanni aggiunge: «Una volta questi decori erano fatti da un pingisanto, che dipingeva santi protettori a prua». Pronta e collaudata la barca, è festa: il prete dà la sua benedizione, la banda suona e la gente accorre.

La fine di un’era. Tutto questo fino al 1990, quando il Ministero della Marina Mercantile ha deciso di non rilasciare più permessi di pesca e di conseguenza tutti i piccoli cantieri navali hanno cessato l’attività. A ciò si aggiunge che Acitrezza è un’area marina protetta e pertanto al cantiere Rodolico non possono attraccare barche per eventuali riparazioni. «C’è stato un tempo in cui avevamo 40 operai, liste d’attesa di cinque anni con produzione di almeno 6 barche all’anno. L’ultima produzione commissionata risale al 1990. Oggi realizzo qualcosa per me, come la barca dal nome Italia, in ricordo di mia nonna mai conosciuta, ma senza la quale tutto questo non sarebbe esistito» conclude con malinconia, ma sorridente, Giovanni mentre Salvatore Martino ascrive la sua felicità alla moglie, sposata 43 anni fa.

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