Ian Berry: «La mia vita spesa a fotografare la forma dentro l’immagine»

Si intitola ACQUA la mostra – e il libro – di Ian Berry, fotoreporter di Magnum Photos, fruibile a Perpignan. Nel corso di 15 anni, Berry ha viaggiato in tutto il mondo per documentare i legami inestricabili tra paesaggio, vita e acqua. Il ruolo che quest’ultima riveste da sempre negli antichi rituali religiosi e nella costruzione di comunità, il suo sfruttamento e il risultato devastante quando ce n’è troppa o troppo poca. La sua intenzione è stata quella di condividere le storie più memorabili tratte dai suoi incarichi che illustrano come l’acqua modella le nostre vite e cosa potrebbe riservarci il futuro.

Ho avuto il piacere di intervistarlo mentre ero a Perpignan al festival Visa pour l’Image, di apprezzare come, nonostante la sua lunga esperienza sul campo, continui a provare stupore per il mondo che lo circonda. La sua pacatezza e la sua calma mascherano il coraggio della sua testimonianza. Nel 1960 fu l’unico fotografo a documentare il massacro di Sharpeville e le sue fotografie servirono durante il processo a dimostrare l’innocenza delle vittime. È sicuramente un fotografo che ha fatto grande la storia di Magnum.

@Ian Berry India, Uttar Pradesh, Varanasi. All’alba i devoti indù si recano al sacro fiume Gange per le abluzioni rituali e la preghiera. Dalla mostra “Water” al Visa pour l’image di Perpignan.

TRA DEVOZIONE… «L’idea di realizzare il progetto – ha affermato al proposito della mostra di Perpignan – è stata mia. Era abitudine in Magnum avere un progetto personale da realizzare in mezzo ad altri lavori. Inizialmente, molti anni fa, pensai di realizzare una storia sul rapporto tra l’acqua e la religione. Tutto è iniziato quando lavoravo in Sud Africa. La più diffusa religione tra i neri in Sud Africa è The Zion Christian Church (ZCC), una delle chiese più grandi dell’Africa meridionale. Credono nell’immersione totale del battesimo immergendo il fedele nell’acqua tre volte. Ho pensato che si potesse partire da qui. Poi mentre mi trovavo a Benares, in India, molto tempo fa, ho partecipato ad una grande festa religiosa indù. La mia idea cambiò perché mi resi conto che l’acqua, in tutto il mondo, stava diventando sempre più un problema. Quindi ho cambiato la direzione della mia ricerca e così negli ultimi cinque, dieci anni ho visitato tanti paesi e visto i fiumi più grandi come il Mekong, il Nilo, il Mississippi e altri».

…E LOTTE. Ma quand’è che l’acqua da risorsa si è tramutata in motivo di contesa? «Ci sono un sacco di problemi… Prendiamo, ad esempio, quanto accade in Bangladesh: le persone stanno costruendo dighe in tutto il mondo perché pensano che sia una grande idea ma in realtà stanno tagliando l’acqua. Voglio dire, una diga è appena stata costruita in Turchia, stanno cercando di controllare l’acqua in Israele, in Giordania. Quando sono andato in Groenlandia, ho scoperto che i pescatori sono riusciti a pescare con tre mesi di anticipo rispetto a quanto facevano un paio di anni prima. E questo a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Quindi, man mano che procedevo nascevano nuove idee ma anche nuovi problemi. Le situazioni che io riprendo per me sono una scusa per guardare alla vita delle persone e capire come vivono le persone nelle diverse parti del mondo».

@Ian Berry Cina, Qinghai Chaka con acqua cristallina. Dalla mostra “Water” al Visa pour l’image di Perpignan.

È un progetto, insomma che punta l’attenzione sulla vita della nostra Terra. E sulla sua salute. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che monitora i cambiamenti climatici, ha recentemente riportato indicatori a livelli record, che continuano ad aumentare: gas serra, livello del mare, contenuto di calore dell’oceano e acidificazione degli oceani. Gli scienziati ipotizzano che il ghiaccio attualmente intrappolato nei ghiacciai e nelle terre emerse dell’Artico e dell’Antartico si scioglierà e, se i loro timori saranno confermati, il livello del mare salirà al punto da inondare città e interi paesi come le Maldive, le Isole Marshall e le Seychelles.

FOTOGRAFARE NEL TEMPO. Le immagini di Ian Berry appartengono nel linguaggio fotografico al periodo in cui Magnum Photos è nata, nel 1947, e si è sviluppata, sia nell’approccio sia nello stile: rigore estetico, uso prevalente del bianco e nero, testimonianza in prima linea, sensibilità al fattore umano.«Credo – ha proseguito – di essere stato molto fortunato quando sono entrato in Magnum. La persona che contava di più era Cartier Bresson e ho trascorso molto tempo con lui in Francia passeggiando. Il momento in cui si scatta una foto è importante ma devi aggiungere una forma all’immagine. Quindi per me è importante fotografare ciò che sta accadendo ma restituendo all’immagine una forma, non solo un’istantanea dell’evento. Sono cresciuto in Magnum con Cartier Bresson, Marc Riboud, Elliott Erwitt… ho potuto imparare molto da loro. Eravamo 12 o 13 fotografi. Ora sono passati più di 60 anni. Capisco che per un giovane sia molto difficile guadagnarsi da vivere facendo fotogiornalismo. Ora devi seguire un approccio diverso, ci sono diversi tipi di fotografia… totalmente diversi. Quindi anche Magnum Photos è cambiata. Quando ero molto giovane mi sono trasferito in Francia e ho trascorso un anno cercando di guadagnarmi da vivere. Sono andato da Dior, lo stilista, e ho chiesto: posso prendere in prestito per un giorno la tua modella di punta? Dior ha detto di sì, ma oggi non sarebbe più possibile». 

@Ian Berry India, Bombay. Piovono le prime piogge monsoniche. Dalla mostra “Water” al Visa pour l’image di Perpignan.

Berry ha anche lavorato per riviste come Paris Match, Stern, Epoca ma ora, secondo lui, l’atteggiamento dei media, sempre più interessati alle celebrità e non a ciò che sta accadendo nel mondo, sta mutando nei confronti del ruolo della fotografia. «Una delle cose che Magnum tentava anni fa era di anticipare le notizie per individuare prima ciò che stava crescendo politicamente in un paese e andare a scattare immagini in quel paese prima che accadesse. In questo momento non ha senso andare in Russia o in Ucraina: sono tutti lì con il cellulare in mano, quindi è difficile riuscire a cogliere nuove situazioni. Quando sono stato in Vietnam, in Congo o nella ex-Jugoslavia potevo restare lì una settimana, poi tornare, poi andare a Parigi o a Londra e riuscivo a realizzare un reportage che fissava quello che stava accadendo. Oggi nello lo stesso giorno in cui avviene un “fatto”, un’ora dopo l’evento ecco che la gente invia già le foto, i video…». 

Nonostante il passato glorioso anche il presente, con difficoltà diverse e alcune volte avverse, riserva spazi di crescita, di innovazione. L’insegnamento è quello di non fermarsi mai, di avere sempre progetti da voler inseguire e realizzare, anche se lo sguardo verso la memoria di ciò che è stato fatto aiuta a capire il ciclo della nostra Storia.  

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