Il bivio del giornalismo davanti ai grandi eventi: qual è il confine tra fatti e interpretazioni?
Gli accadimenti più eclatanti sono, in qualche modo, il paradigma che definisce ciò è buona informazione e ciò che non lo è. A questa logica non è sfuggita, di recente, l’elezione di Papa Leone XIV, tra chi si è affrettato ad incasellarlo in uno schieramento politico piuttosto che in un altro e chi, sottolineandone la provenienza americana, ne ha tracciato un profilo parziale e, in certi casi, limitante. Ecco allora che il giornalista, una volta di più, può e deve fare la differenza. Di questo, in occasione di uno dei tanti panel all’interno della settima edizione de “Il giornalismo che verrà”, hanno discusso Silvia Guidi, giornalista de “L’Osservatore Romano” e Fernando De Haro, direttore e conduttore di “La Tarde” per Radio COPE
È trascorso poco più di un mese da quando le campane e i media di tutto il mondo annunciavano l’elezione di papa Leone XIV. «Un leone per la pace», «Il papa dei due mondi», «Il Leone americano», «La Fossa del Leone»: titolavano all’indomani del rinnovo del soglio pontifico le testate italiane, mentre la notizia trovava eco nei giornali di ogni lingua (o quasi). «Papa di Chicago. Dio benedica l’America» (The New York Post), «Un papa proveniente da una superpotenza globale che ha già una notevole influenza negli affari mondiali» (NYT), «Leone XIV, un progressista fedele a Francesco» (El Clarin), «Il Papa più vicino» (El comercio), «Un Papa degli Stati Uniti per tutti i mondi» (El Mundo). L’attenzione mediatica si è subito trasformata in ricerca febbrile di dettagli. Benché la notizia sembri non essere giunta all’organo del partito comunista in Cina e non aver destato particolare interesse per la stampa russa, non c’è dubbio che abbia sintonizzato buona parte degli abitanti del Pianeta. 1,3 miliardi di cattolici su 8,2 miliardi di abitanti: bastano questi numeri a spiegare perché l’elezione del papa fa notizia (e perché in certi casi, pochi, invece non la fa)? Ma soprattutto, quando raccontiamo i grandi eventi della storia, come un fatto religioso di questa portata, siamo sicuri di farlo nel modo giusto? In occasione del Festival del Giornalismo Mediterraneo, tenutosi a Catania dal 6 maggio al 7 giugno, ne abbiamo discusso con Silvia Guidi, giornalista redazione culturale L’Osservatore Romano, e Fernando De Haro, direttore di Paginasdigital.es, direttore e conduttore del programma La Tarde per Radio COPE, nonché docente all’Università Carlo III di Madrid.

IA E IMPREVEDIBILITÀ. «L’elezione del Papa si colloca in un contesto di sfide per il giornalismo: è un evento paradigmatico per capire come si fa informazione, anche in rapporto all’IA», ha esordito De Haro. «L’intelligenza artificiale usa dati precedenti per fare un pronostico o per raccontare una storia»: in sostanza, prevede sulla base di ciò che è stato, non di ciò che può essere. Ma come ci insegna Hume, il fatto che ogni mattina sorga il sole non mi dà la certezza che domani accadrà. Certo, è altamente probabile e, di certo, è utile alla nostra quotidianità fare di questa possibilità una certezza (immaginate di andare ogni sera a letto con l’angoscia che domani potrebbe non esserci l’alba). Ed è proprio questo il punto per lo spagnolo: «Noi giornalisti dobbiamo lottare contro la pretesa che tutto sia prevedibile, che tutto sia dentro uno schema. L’elezione di Prevost rompe questo sistema che vuole ridurre tutto ai dati. Il giornalismo deve guardare all’imprevedibile». La pensa così anche Guidi. «Io lavoro da 17 anni in Vaticano e non mi vergogno a dire che l’elezione del papa mi ha colto di sorpresa. Non era tra le 20 schede di cardinali che mi ero preparata. Per fortuna la realtà sfugge ad ogni nostra griglia. Questo rende il lavoro del giornalista ancora utile, direi necessario».

FATTI E INTERPRETAZIONI. L’elezione di Prevost e le notizie che ne sono state date ci consentono di riflettere su un’altra questione chiave del giornalismo e più in generale sul nostro modo di comunicare. «Ho notato – è intervenuta ancora Guidi – che alcuni colleghi sono stati presi dalla frenesia di incasellare Papa Leone. In parte li capisco, è deformazione professionale. Per evitare questo, noi dei media vaticani (c’è oltre all’Osservatore Romano, Radio Vaticana e Vatican News) i primi giorni abbiamo cercato di far parlare il contesto, le sue origini agostiniane, frenando sulle definizioni, lasciandogli il tempo di manifestare la sua linea». Le ha fatto eco De Haro: «La questione si lega al problema della disinformazione. La disinformazione si diffonde quando ci si convince che l’interpretazione viene prima del fatto e che tutto possa essere interpretato senza fatto». Ma l’interpretazione, come sottolinea Guidi, non può precedere il fatto. L’esperta del Vaticano ci aiuta a comprendere con un esempio: «Vi ricordate la polemica sulle scarpe rosse a cui Papa Francesco aveva rinunciato? Segno della regalità di Cristo e richiamo ai martiri, sono presenti in tutta l’iconografia occidentale dei papi. Dire che un papa mette mocassini di lusso e che uno il lusso non lo vuole è una banalità che appiattisce tutto sulla polemica. Più interessante è scavare sul significato dei simboli e capire perché i papi precedenti ne avevano bisogno. Non c’era la televisione, c’erano solo i quadri e il pontefice si poteva vedere da lontano nelle processioni, quindi erano necessari simboli più visibili, più chiari per i fedeli del tempo. Serve approfondimento, in ogni settore dell’informazione». Per Guidi, poi, chi si occupa di giornalismo religioso deve stare attento anche a non rifugiarsi in un bigottismo di maniera. «Capita che i giornalisti quando parlano di eventi religiosi abbassino la voce, in modo un po’ remissivo. È una trappola che per fortuna nei media vaticani stiamo attenti ad evitare». Così, se i primi titoli sul rinnovo del soglio pontificio sembrano costringere papa Prevost a due confronti, quello con il predecessore Bergoglio e quello con Trump e il MAGA (letto da qualche media come “Make Vaticano great again”), i due esperti ci esortano a restituire complessità alla realtà, a vincere i nostri stessi schemi mentali che possono indurre a strumentalizzare le notizie. «Il mondo – ha chiosato De Haro – è assetato di senso». E quando la sete incalza e attorno c’è il deserto, siamo sicuri che l’acqua che ci indicano sia un fatto e non una immaginazione?
(Foto in copertina: Edgar Beltrán / The Pillar | C.C by SA 4.0)