«Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano», scriveva Antoine de Sainte-Éxupery nel celeberrimo Il piccolo principe. Fra i pochi che conservano gelosamente il ricordo della loro infanzia, però, senza dubbio ci sono coloro che non hanno dimenticato la presenza nella loro cameretta di un compagno silenzioso ma al tempo stesso prezioso: il salvadanaio. Che si ricevesse la paghetta settimanale o solo la busta dai parenti durante le feste e qualche soldino dalla Fatina dei Denti, infatti, un contenitore dove raccogliere i propri risparmi era necessario in ogni casa.

Questa tradizione è stata da sempre diffusa anche in Sicilia, al punto che gli abitanti della regione hanno coniato anticamente un termine che designasse proprio il salvadanaio dei bambini. Si tratta della voce carusièddu (o carusèddu e carusèddru, in base alle zone), la quale farebbe pensare in prima battuta a un legame con il sostantivo carùsudi cui ci siamo già occupati in precedenza e che in effetti definisce un ragazzino di età compresa per sommi capi tra i 6 e i 20 anni.

In realtà, tale curiosa parola del vocabolario siciliano deve la sua origine al termine greco χ′αραγμα (pron. chàragma), che guarda caso voleva dire “moneta”. Il carusièddu siculo, dunque, altro non è che un letterale raccoglitore di monete, la cui etimologia è collegata a una delle culture più avanzate della storia occidentale – e che evidentemente prevedeva a sua volta, per grandi o piccini che fosse, un salvadanaio da tenere in casa.

Come scrive, però, Catena Fiorello nel romanzo Ciatuzzu, edito da Rizzoli, secondo una tradizione popolare il carusièddu sarebbe effettivamente anche il vaso di terracotta in cui una volta i genitori raccoglievano i soldi necessari a tirare fuori i figli minorenni dalle miniere: quando venivano ingaggiati, infatti, la loro famiglia riceveva il cosiddetto soccorso morto, «una sorta di garanzia in denaro offerta ai congiunti del giovane minatore nel caso in cui fosse perito lavorando, ma che toglieva agli stessi parenti ogni diritto sulla sua persona».

E se a un certo punto volevano che il carùsu andasse via di lì prima del tempo? In quel caso, «avrebbero dovuto restituire interamente la somma, che legava lui e la sua famiglia ai padroni della miniera», il che li costringeva a racimolare la cifra un po’ alla volta in quello che, non per niente, chiamavano proprio carusièddu.

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