Il TAR ha bloccato il telescopio sulle Madonie ma è davvero una vittoria per l’ambiente?
I giudici del tribunale amministrativo siciliano hanno dato ragione a CAI, Legambiente Lipu e Wwf, decretando lo stop alla costruzione dell’Osservatorio Astronomico Flyeye dell’Agenzia Spaziale Europea nel territorio delle Madonie, sul Monte Mufara. L’occhio puntato verso il cielo avrebbe avuto il compito di monitorare asteroidi e altri corpi celesti che potrebbero collidere con il nostro pianeta, con effetti devastanti per l’uomo e gli ecosistemi naturali
Negli ultimi anni abbiamo spesso assistito a manifestazioni che per un presunto rispetto dell’ambiente hanno bloccato o ritardato la realizzazione di opere pubbliche, dalle reti di trasporto veloce alle centrali per la produzione di energia o ai sistemi di smaltimento dei rifiuti, opere pur considerate di notevole valore sociale, oltre che economico. Il limite di queste manifestazioni, anche quando organizzate e sostenute in buona fede, e non per semplici contrapposizioni ideologiche, è spesso dato da una incompleta visione dei problemi, da un’esagerata sottolineatura di un aspetto particolare rispetto al complesso equilibrio di costi e benefici che la realizzazione di quell’opera comporta.
Il paradosso nasce poi quando in nome di un rispetto per un particolare aspetto dell’ambiente locale si è disposti a mettere in secondo piano anche il peggioramento complessivo del resto dell’ambiente, o addirittura la possibile distruzione globale dell’ambiente in cui viviamo, il Pianeta Terra.
È il caso, per certi versi, della recente vicenda siciliana della realizzazione dell’Osservatorio Astronomico Flyeye dell’Agenzia Spaziale Europea nel territorio delle Madonie, sul Monte Mufara. Realizzazione i cui lavori, iniziati il 27 agosto, sono stati bloccati pochi giorni dopo da una sentenza del TAR siciliano, sulla base di richieste presentate dalle associazioni ambientaliste Club Alpino Italiano, Legambiente Sicilia, Lipu e Wwf Sicilia.
Il Flyeye è uno dei telescopi progettati nell’ambito del programma di sicurezza spaziale per monitorare l’avvicinamento verso la Terra di asteroidi potenzialmente in grado di produrre danni ambientali a livello planetario, fornendo avvisi tempestivi in caso di eventi considerati come pericolosi. L’atmosfera terrestre è infatti continuamente investita da asteroidi di ogni possibile dimensione.
Quelli di dimensione molto ridotta (pochi cm o decine di cm) abitualmente bruciano per attrito durante l’attraversamento dell’atmosfera e non riescono a giungere alla superficie terrestre, costituendo quelle che spesso vengono chiamate le stelle cadenti. Tuttavia, quelli di dimensioni maggiori, all’incirca superiori a un metro, possono attraversare l’atmosfera e colpire la Terra, producendo danni a cose e persone in proporzione alle loro dimensioni.
Quanti di questi eventi possiamo aspettarci? Gli studi dettagliati di questi ultimi anni hanno permesso di stabilire una scala dettagliata delle frequenze di impatto in base alle dimensioni. Così, asteroidi del diametro di circa 1 metro arrivano sulla Terra con una frequenza di alcuni eventi ogni anno, asteroidi con dimensioni di circa 10 metri con una frequenza di alcuni eventi al secolo e asteroidi con dimensioni di circa 100 metri con la frequenza di un evento ogni 2000-3000 anni.
Non sono cifre da poco, se consideriamo il possibile impatto ambientale che questi oggetti possono produrre. L’impatto di un asteroide di dimensioni pari a qualche decina di metri potrebbe distruggere un’area pari a quella di un’intera città, come presumibilmente è avvenuto a Tunguska, in Siberia, nel 1908, dove un’intera foresta delle dimensioni di oltre 2000 km2 venne distrutta dall’esplosione. L’impatto di un asteroide di dimensioni pari a 1 km distruggerebbe poi un intero stato, e asteroidi di dimensioni ancora maggiori sarebbero capaci di distruggere quasi ogni forma di vita nell’intero pianeta.
Da quando abbiamo iniziato a studiare le proprietà degli asteroidi in possibile rotta di collisione con la Terra, due linee di attività sono state intraprese: da un lato, quella di monitorare l’esistenza di questi oggetti, caratterizzarne le dimensioni, valutarne l’orbita e stimare la probabilità che essi possano intersecare l’orbita terrestre. Dall’altro, studiare le possibilità che l’umanità ha a disposizione per proteggersi da eventi di elevatissimo impatto ambientale, cercando di frammentarli o di deviarne l’orbita prima che essa diventi potenzialmente pericolosa per la Terra. Questa possibilità è stata di recente esplorata con la missione DART, una missione della NASA volta proprio a verificare la capacità che abbiamo di poterci difendere da questi eventi catastrofici, usando l’asteroide Dimorphos come banco di prova. La sonda DART si è scontrata effettivamente con Dimorphos nel settembre 2022 (il che è già un successo della missione considerando che si trattava di colpire un oggetto grande 160 m ad una distanza di 11 milioni di km), riuscendo inoltre a modificare leggermente la sua orbita, come negli intenti della missione.
Il previsto telescopio Flyeye da installare nelle Madonie rientra invece nella prima delle attività intraprese dall’uomo per monitorare l’avvicinamento di oggetti potenzialmente pericolosi per l’ambiente planetario. Il sito delle Madonie non è stato scelto a caso, ma proprio per le sue proprietà di avere un cielo limpido, privo di inquinamento luminoso, e dunque adatto per le osservazioni astronomiche, tanto da poter competere con siti astronomici blasonati in varie parti del mondo; sarebbe un peccato quindi rinunciare a questa possibilità in favore di altri siti che potrebbero essere a questo punto scelti dall’Agenzia Spaziale Europea se permanessero le difficoltà di realizzazione di quest’opera in Sicilia. Ci auguriamo pertanto che sia le associazioni ambientaliste che hanno sollevato le difficoltà quanto le autorità competenti a decidere tengano conto del complesso delle condizioni che rendono questa realizzazione un servizio vero alla difesa dell’ambiente: non solo dell’ambiente di Monte Mufara, ma dell’intero ambiente del nostro pianeta.
(foto di copertina: Artur Adilkhanian | Unsplash)