Javier Moreno Barber: «Contro il potere e oltre l’algoritmo. Il giornalista non può perdere la sua bussola morale»
Il giornalista spagnolo, già direttore di “El País” e tra i massimi esperti di America Latina, si è espresso sul delicato rapporto tra potere e informazione: «Politica e giornalismo sono impossibili da dissociare. Chi detiene il potere cercherà sempre di influenzare il racconto: il nostro dovere è resistere». In diverse parti del mondo, tuttavia, chi si batte per la verità è esposto a grandi pericoli: «Ho lavorato in luoghi nei quali fare bene il proprio mestiere spesso si paga con la vita. Penso al Messico o a El Salvador, dove è stato sospeso lo stato di diritto». Poi un invito ai giovani: «Magari oggi non hanno una macchina, uno stipendio dignitoso o un contratto stabile, ma non è vero che non hanno un futuro. È proprio il futuro, forse, la cosa più concreta che hanno rispetto alla mi generazione»
«Il potere cambia linguaggio, ma non intenzioni: continuerà a cercare il controllo del racconto, con la forza o con il denaro. Tocca a chi informa riconoscerlo e non voltarsi dall’altra parte. Saranno le nuove generazioni di giornalisti a farci i conti. Magari oggi non hanno una macchina, uno stipendio dignitoso o un contratto stabile, ma non è vero che non hanno un futuro. È proprio il futuro, forse, la cosa più concreta che hanno». Javier Moreno Barber conosce bene le dinamiche del potere e il modo in cui questo tenta di influenzare l’informazione, in contesti diversi e con strumenti diversi. In America Latina, dove ha lavorato a lungo, la pressione può assumere forme brutali; in Europa, si manifesta spesso in modo più sottile, ma non per questo meno efficace. Il giornalista spagnolo, che ha guidato El País due volte — dal 2006 al 2014 e poi di nuovo tra il 2020 e il 2021 — e ha diretto anche El País América dal 2013 al 2018, è oggi alla guida della Scuola di Giornalismo UAM-El País. Si dedica alla formazione di chi sceglie ancora di raccontare la realtà, in un tempo in cui il mestiere cambia pelle ma resta centrale per la tenuta democratica. Lo abbiamo incontrato a Villa San Saverio, a Catania, durante la VII edizione del workshop Il giornalismo che verrà, promosso da Sicilian Post e Pagella Politica con la Scuola Superiore dell’Università di Catania. Con lui abbiamo parlato di verità, intelligenza artificiale e del coraggio di mantenere una bussola morale nel mestiere dell’informare.
Direttore, nel suo ultimo libro, ¿Quién manda aquí? (Debate, 2025), lei utilizza il metodo giornalistico, l’intervista, per indagare sulla sottile linea tra potere reale e impotenza effettiva dei governi latinoamericani. In un’epoca di crisi dei media, possiamo ancora definire il giornalismo un cane da guardia della democrazia?
«Politica e giornalismo sono impossibili da dissociare. Il potere – in tutte le sue forme – cercherà sempre di esercitare un’influenza sul lavoro dei giornalisti. E non è una novità: democrazia e giornalismo sono nati più o meno insieme, circa due secoli fa, quando la democrazia come la conosciamo oggi ha cominciato a diffondersi. In America Latina, dove ho lavorato per diversi anni, questa pressione può essere brutale: in paesi come il Messico si può ancora morire per aver fatto bene il proprio mestiere. Eppure, tanti giornalisti continuano a rischiare la vita pur di raccontare la verità. In Europa, il pericolo fisico è minore – anche se l’Italia ha una lunga storia di cronisti uccisi, e non dovremmo mai dimenticarlo – ma la pressione resta forte. Politici, grandi aziende, sindacati, gruppi religiosi: chiunque detenga potere ha interesse a orientare il racconto dei media. E lo fa con altri strumenti, spesso economici. Il nostro compito è resistere. Naturalmente, è più facile a dirsi che a farsi».
«Ritengo che i fondamentali della professione giornalistica siano quattro: la curiosità, la ricerca della verità, l’onestà con sé stessi e con il proprio pubblico. E il decoro: quello che ci permette di discernere che ci sono limiti che non possono essere superati. A prescindere dal ritorno economico o di visibilità che potrebbero avere»
Javier Moreno Barber

Prima di essere contenuto, l’informazione è un servizio alla comunità. In che modo un buon giornalista può dire di aver centrato il suo obiettivo?
«Ciò su cui ai giornalisti tocca riflettere è in che modo descriviamo certi fenomeni. A El Salvador, per esempio, il tasso di criminalità è sceso radicalmente, ma a prezzo della sospensione dello stato di diritto. Le destre avanzano e il nostro compito è chiederci: perché? Abbiamo raccontato tutto nel modo giusto?».
Qui a Catania ha incontrato i giovani corsisti del workshop Il giornalismo che verrà. Cosa si sente di dire a chi si affaccia alla professione oggi?
«I giovani giornalisti, non solo a Catania ma in tutto il mondo – e lo sperimento ogni giorno nella mia scuola di giornalismo in Spagna – sono molto preoccupati di non avere un futuro. Ma ciò che mi sento di dire loro è che anche se oggi non hanno una macchina, un lavoro sicuro, uno stipendio dignitoso, un futuro è probabilmente l’unica cosa che hanno. Molte cose sono in mutamento: la tecnologia cambia ogni giorno e loro la domineranno. Possono imparare una nuova applicazione, un nuovo modo di fare le cose con un iPhone, e dovranno acquisire nuove abilità in tempi rapidissimi. Sta a loro trovare il modo di valorizzare il fatto di vivere questo tempo. E a noi di aiutarli a comprendere quali siano i fondamentali della nostra professione».
«L’IA sostituirà gli uomini in alcune aree, è inevitabile. Tuttavia, l’essenza del buon giornalismo sta nella capacità di cogliere ciò che non è immediatamente visibile, di scorgere un significato nuovo in quello che tutti stanno guardando. E questo, almeno per ora, non credo sia alla portata degli algoritmi»
Javier Moreno Barber
Quali sono a suo avviso questi fondamentali?
«Ritengo siano quattro: la curiosità, la ricerca della verità, l’onestà con sé stessi e con il proprio pubblico. E il decoro: quello che ci permette di discernere che ci sono limiti che non possono essere superati. A prescindere dal ritorno economico o di visibilità che potrebbero avere. Queste sono le cose fondamentali per mantenere vivo il futuro del giornalismo e che cerco di trasmettere ai giovani. Per il resto, dico loro di non dare troppo peso alle grandi aziende o perfino a persone come me, che magari hanno fatto un ottimo giornalismo, ma in un altro tempo. Il futuro non sarà come il passato, i problemi saranno diversi e richiederanno nuove soluzioni».
A proposito di nuovi problemi. Molti giornalisti temono che l’Intelligenza Artificiale non sarà un alleato ma un loro sostituto. Lei che ne pensa?
«Credo che in alcune aree questo succederà, inevitabilmente. Ci sono mansioni ripetitive, contenuti standardizzati – come le previsioni meteo, ad esempio – che non richiedono davvero la presenza di un giornalista qualificato. Tuttavia, l’essenza del buon giornalismo sta nella capacità di cogliere ciò che non è immediatamente visibile, di scorgere un significato nuovo in quello che tutti stanno guardando. E questo, almeno per ora, non credo sia alla portata dell’intelligenza artificiale. Avremo sempre bisogno di uno sguardo umano, capace di riconoscere non solo ciò che è legale o illegale, ma anche ciò che è giusto o inaccettabile. Perché spesso la notizia più importante riguarda qualcosa che non viola alcuna legge, ma che comunque pone un problema etico, sociale, politico. Il giornalismo, in fin dei conti, si muove seguendo una bussola morale. E quella bussola, fino a oggi, non credo che potrà essere replicata da un algoritmo».
(Foto in copertina di Giuseppe Tiralosi)